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Il processo di pace in Uganda
Uganda verso la pace: la cronologia del cessate il fuoco
06/08/2010 - Africa Orientale, il mercato comune parte tra luci e ombre
09/06/2010 - Elezioni in Uganda, costituito il cartello di opposizione. Ma il Partito democratico corre da solo
09/06/2010 - Uganda: elezioni sotto la lente internazionale
06/04/2010 - Uganda, le rifugiate realizzano assorbenti in carta pergamena e straccia
19/01/2010 - Proposta di legge contro l'omossesualità: Musaveni prende le distanze
22/10/2009 - Uganda: i profughi tornati nei villaggi protestano per la mancanza di servizi essenziali
23/03/2009 - Civili massacrati dall'Esercito di resistenza del Signore: appello a Obama
23/03/2009 - Uganda, l'Esercito di resistenza del Signore chiede il cessate il fuoco
08/01/2009 - Il gruppo di crisi internazionale: ''Per il Nord Uganda serve un cambio di strategia''
12/11/2008 - Nord Uganda, è la popolazione a pagare i costi umani dovuti agli attacchi della Lra
12/11/2008 - Stallo in Nord Uganda. E gli analisti non escludono l'opzione militare contro l'Lra
16/10/2008 - Uganda: tanti i bambini che lottano per guadagnarsi da vivere in strada
16/09/2008 - Aids, in Uganda prevenzione tramite sms
12/09/2008 - Uganda, le vittime delle mine antiuomo lottano per reintegrarsi
25/08/2008 - Uganda, lunga attesa per l'Accordo finale di pace
15/04/2008 - Nord Uganda, sprecata l'opportunità di porre fine a 22 anni di conflitto
15/04/2008 - Uganda, ecco perché i negoziati erano destinati a fallire
21/12/2007 - Il Nord Uganda, tra conflitto armato e negoziati di pace
25/10/2007 - Uganda, l'Lra accusa il governo di genocidio
25/05/2007 - Nuove ombre sul processo di pace in Nord Uganda
02/05/2007 - Ripartiti i negoziati: per il Nord Uganda la pace è ora possibile
26/04/2007 - Uganda, cessa la situazione di stallo: l'Lra torna al tavolo dei negoziati
10/10/2006 - Uganda, l'incubo di Karamoja
05/09/2006 - Regge la tregua nel nord Uganda
01/09/2006 - Le comunicazioni sociali e l'Aids
31/08/2006 - Si riducono i ''night commuters''
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Uganda verso la pace: la cronologia del cessate il fuoco
Il cammino per la pace nel Nord Uganda è stato lungo. Di seguito una cronologia degli eventi dal 5 maggio al 29 agosto del 2006.
5 maggio. Il governo ugandese lancia un piano d''emergenza per l'Uganda del nord, ponendo in risalto la questione sicurezza, assistenza umanitaria, peace-building e riconciliazione. Il presidente Yoweri Museveni esclude la possibilità di un negoziato con l’LRA e insiste affinché il leader dei ribelli affronti un processo.
17 maggio. Museveni dà un ultimatum di due mesi all’LRA "per una fine pacifica del terrorismo" minacciando un attacco congiunto di truppe ugandesi e del sud Sudan. Il Governo annuncia che se il leader dei ribelli Joseph Kony "prende sul serio l’ipotesi di un negoziato pacifico, il Governo garantirà la sua incolumità". Durante una riunione del 13 maggio con Salva Kiir, presidente del Sud Sudan, Museveni si dice d’accordo con l’amnistia dei capi dei ribelli.
25 maggio. In un video girato il 2 maggio Kony dice di essere pronto a terminare i combattimenti sotto la mediazione dei leader del Sud Sudan. Kony pensa ad una delegazione condotta dal vice presidente del Sud Sudan, Riek Machar e dichiara: "L’LRA è pronto a colloqui di pace per terminare la guerra senza l’uso della forza. Stiamo combattendo per la pace, non sono un terrorista"
2 giugno. Leader religiosi del nord Uganda invitano Interpol ad annullare il mandato d’arresto contro il leader dell’LRA. Gli atti d’accusa contro gli uomini dell’Esercito del Signore danneggerebbero gli sforzi per la pace, sostengono. Interpol ha consegnato gli avvisi di garanzia della Corte penale internazionale contro 5 comandanti dell’LRA. Tra i 5 anche Kony - su cui pendono 12 capi d’accusa per crimini contro l’umanità e altri 21 per crimini di guerra -, il suo delegato Vincent Otti, il comandante Raska Lukwiya, Okot Odhiambo e Dominic Ongwen, tutti accusati di crimini di guerra e contro l’umanità, inclusi quelli di attacchi intenzionali contro la popolazione civile.
5 giugno. Unicef avverte che nonostante il miglioramento della sicurezza, i bambini del nord Uganda vivono ancora sotto paura e privazioni. "Molte ragazze rapite sono affidate agli ufficiali, in una specie di violenza istituzionale", dichiara l’istituzione. "Di circa 25mila bambini (di cui 7mila bambine) rapiti dall’LRA dall’inizio del conflitto, un migliaio sono "bambine madri", rimaste in cinta durante la prigionia"
9 giugno. Save The Children chiede al governo ugandese di assistere le migliaia di bambini rapiti dai ribelli, "persi e in gran parte dimenticati".
12 giugno. Gli sforzi delle autorità sud sudanesi per mediare tra l’LRA e il governo sono in una fase di stallo dopo il rifiuto di Kampala di incontrare i leader dei ribelli accusati dalla Corte penale internazionale nell’ottobre 2005. Machar continua a lavorare per un colloquio tra le parti.
14 giugno. La Corte penale internazionale insiste: coinvolgere l’LRA nei colloqui di pace non deve impedire l’arresto e la prosecuzione penale dei leader dei ribelli accusati
28 giugno. Il governo ugandese dichiara formalmente che è stato invitato dal governo del sud Sudan a partecipare ai colloqui con l’LRA, e che invierà una delegazione tecnica per un incontro preliminare.
7 luglio. Il procuratore capo della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, insiste: Kony dovrà affrontare il processo.
10 luglio. Il governo ugandese dichiara che potrebbe chiedere alla Corte penale internazionale di annullare le accuse contro i 5 leader dell’LRA per facilitare i colloqui di pace tra il governo e i ribelli.
13 luglio. Machar annuncia a Juba che i colloqui di pace tra i ribelli e il governo ugandese cominceranno il giorno dopo. A Kampala, un alto funzionario dichiara che il governo ugandese attenuerà il suo rifiuto iniziale ad incontrare Kony e Otti.
14 luglio. Si aprono formalmente i colloqui di pace tra il governo ugandese e l’LRA nella capitale del sud Sudan, Juba.
19 luglio. Continuano i colloqui. Il governo rifiuta un cessate il fuoco con l’LRA fino a quando non sarà firmato un accordo di pace definitivo, dicendo che il gruppo dei ribelli già in passato non aveva rispettato le tregue. LRA aveva chiesto la cessazione delle ostilità durante il periodo dei colloqui.
20 luglio. Il governo inizia ad attivare un piano di emergenza di 6 mesi per il ritorno a casa degli sfollati causati da 20 anni di guerra.
24 luglio. I colloqui sono sospesi per una settimana per permettere le consultazioni.
2 agosto. Machar annuncia che i colloqui riprenderanno il 7 agosto, dopo aver incontrato Kony al confine tra Sudan e Repubblica democratica del Congo.
9 agosto. I colloqui slittano dopo un disaccordo sull’annuncio di un cessate il fuoco unilaterale dell’LRA il 4 agosto. I ribelli insistono che non torneranno a sedere al tavolo delle trattative se prima il governo non ordinerà un cessate il fuoco, ma Kampala si rifiuta
16 agosto. I funzionari annunciano che i colloqui si riapriranno il 18 agosto. La trattativa, che doveva ripartire prima, erano slittati dopo l’uccisione di Lukwiya.
21 agosto. Si riapre la negoziazione, con una discussione sulla cessazione delle ostilità e sul disarmo dei combattenti.
26 agosto. Le due parti firmano un accordo di cessate il fuoco in vigore dal 22 agosto. Otti ordina via radio ai suoi uomini di deporre le armi.
29 agosto. L’esercito ugandese sospende le operazioni contro l’LRA.
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06/08/2010 - Africa Orientale, il mercato comune parte tra luci e ombre
l protocollo entrato in vigore il primo luglio permetterà il libero movimento di persone e capitali in Kenya, Tanzania, Uganda, Ruanda e Burundi. L'ambizione è di adottare una moneta unica entro il 2012, per trasformarsi in una federazione politica
NAIROBI – I cittadini dei cinque stati membri della Comunità dell'Africa Orientale (Eac) – ovvero Kenya, Tanzania, Uganda, Ruanda e Burundi – hanno già iniziato a mietere i frutti del mercato comune entrato in vigore il primo luglio. Il protocollo – con lo scopo di espandere l'unione doganale esistente – permetterà il libero movimento di persone, capitali, beni e servizi nella regione e l'abolizione delle imposte sull'importazione. In maniera significativa, i cinque stati membri dell'Eac hanno già adottato una tariffa esterna comune, una identica tassa applicata alle importazioni dal di fuori del blocco e hanno dato il via libera ad un commercio regionale privo di imposte.I vantaggi di un mercato comune per l'Eac non possono essere sovrastimati. Coprendo un'area di 1,85 milioni di chilometri quadrati con una popolazione totale di 127 milioni di persone che condividono storia, lingua e cultura, le cinque nazioni dell'Africa Orientale hanno un prodotto interno lordo complessivo di 73 miliardi di dollari statunitensi, che fornisce agli stati membri un'impalcatura unica per la cooperazione e l'integrazione regionale. Infatti, l'ambizione di questi paesi è quella di adottare una moneta unica entro il 2012, per trasformarsi infine in una federazione politica. “Come abbiamo fatto col mercato comune Eac, dobbiamo inventarci un protocollo di unione monetaria Eac che negozieremo e sul quale ci accorderemo”, ha dichiarato in conferenza stampa a Nairobi il governatore della Banca centrale del Kenya, Prof Njuguna Ndungu, all'inizio di Luglio.
Ma con infrastrutture scadenti e continui sbalzi energetici, l'avvio di un libero commercio rimarrà per qualche tempo un sogno irrealizzabile, con gli analisti che prevedono che i benefici complessivi diverranno manifesti solo dopo il 2015. In particolare, le barriere tariffarie ancora ostruisco la strada del libero mercato. Sebbene il protocollo del mercato comune sia entrato in vigore il 1° luglio, le fatiscenti strade regionali e le lunghe procedure doganali, da lungo tempo viste dagli uomini d'affari come le principali cause d'ostruzione del commercio oltreconfine, sono ancora all'ordine del giorno. Non è sfuggito agli osservatori che a causa della burocrazia in tutti gli stati partner dell'EAC, le richieste di passaporto e le tasse sul permesso di lavoro sono ancora in vigore, ostacolando il libero movimento di persone attraverso i confini. In Kenya, ad esempio, il presidente Mwai Kibaki ha emanato una direttiva per l'abolizione delle tasse sul permesso di lavoro che però non è ancora entrata in vigore.
Funzionari per l'immigrazione del Kenya dicono che non possono permettere l'uso di carte di identità nazionali al posto dei passaporti in quanto queste sono spesso oggetto di contraffazione. Con i viaggiatori costretti a passare attraverso il noioso processo di riempimento di moduli e presentazione dei passaporti, non è raro vedere lunghe file di persone e veicoli formarsi ai posti di confine. Secondo Kenneth Omboga, funzionario per l'immigrazione in Kenya responsabile del Lunga Lunga, il posto di confine fra il Kenya e la Tanzania, il Kenya non ha aperto i propri confini al libero movimento di persone e beni per motivi di sanità e sicurezza, in particolare in seguito al recente scoppio di due bombe nel vicino Uganda. I controlli di frontiera quindi continueranno finché non verranno adottate misure adeguate. “Vogliamo evitare che merci contraffatte e pericolose entrino nel nostro mercato e allo stesso tempo affrontare i rischi per la sicurezza posti dai recenti attacchi terroristici a Kampala”, ha affermato Omboga. (Zachary Ochieng, traduzione di Sara Marilungo)
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09/06/2010 - Elezioni in Uganda, costituito il cartello di opposizione. Ma il Partito democratico corre da solo
Il Partito Democratico, sotto la guida di Norbert Mao, ha deciso di non unirsi agli altri, facendo nascere dubbi sulle sue reali intenzioni: per alcuni altro non sarebbe che una talpa governativa
NAIROBI - Le votazioni in Uganda sono talmente cruciali che l'opposizione si è riunita sotto un gruppo ombrello, l'Ipc, nel tentativo di non permettere al presidente Yoweri Musaveni un quarto mandato. Tuttavia, il Partito Democratico sotto la guida di Norbert Mao ha deciso di correre da solo, nutrendo le speculazioni degli altri partiti sul fatto che esso sia una talpa governativa decisa a deragliare l'opposizione. Secondo gli oppositori di Musaveni l'ente sta usando leader locali – quasi tutti membri del Movimento di resistenza nazionale (Nrm), il partito del presidente – per effettuare la registrazione dei votanti prima delle elezioni parlamentari e presidenziali del 2011. L'Ipc è costituito dal Forum per il cambiamento democratico (Fdc), dal Congresso per il popolo dell'Uganda (Upc), dal Forum per la giustizia (Jeema) e dal Partito conservatore (Cp). Il Dr. Besigye presiede l'Fdc, mentre Ken Lukyamuzi e Kibirige Mayanja sono a capo rispettivamente del Cp e del Jeema.Ma Mao ha negato con veemenza di essere una talpa governativa. “Vogliamo che la nostra posizione venga compresa. Dicono che Mao e il Partito Democratico lavorano per Musaveni. Besigye crede forse di potermi dare lezioni su come sconfiggere Musaveni? Mentre io mi opponevo a Musaveni lui dov'era? Condividevano il potere con lui mentre io facevo opposizione,” ha dichiarato Mao. Il timore che le elezioni possano non essere libere ed imparziali ha spinto anche il famoso pugile ugandese Justine Juuko a scrivere al segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon, chiedendo di soprintendere le prossime elezioni generali per assicurarsi che queste siano libere e imparziali, e che vengano mantenuti la legge e l'ordine attraverso tutto il processo elettorale. La lettera è stata mandata anche ai presidenti degli stati membri della Comunità dell'Africa orientale (Eac), al presidente Barack Obama e al capo della delegazione dell'Unione Europea in Uganda. Gruppi per i diritti umani si sono uniti al coro di appelli per elezioni imparziali nel paese. Nel rapporto del dicembre 2009, Human rights whatch ha chiesto al governo di apportare delle riforme alle leggi elettorali del paese per migliorare l'efficacia delle leggi relative ai reati legati alle elezioni e ridurre il rischio di violenza nelle prossime elezioni del 2011. Si afferma infatti che la violenza a sfondo politico, l'intimidazione, la corruzione degli elettori abbiano rovinato le precedenti elezioni nazionali in Uganda, ma pochi sono stati ritenuti responsabili di tali crimini. Le 28 pagine di rapporto, “Prepararsi alle elezioni: migliorare la trasparenza relativa alla violenza elettorale in Uganda”, documenta casi recenti nei quali i giudici della corte suprema che decidevano su istanze relative alle elezioni, hanno ritenuto i candidati e il personale che si occupava della campagna elettorale responsabili di reati, tuttavia i supposti crimini sono stati raramente investigati e perseguiti. Alcuni fra quelli che si presume abbiano commesso tali reati durante le lezioni del 2006 continuano a ricoprire cariche importanti, ha detto Human rights watch. “I reati relativi alle elezioni che sono rimasti impuniti rischiano di piantare i semi di malcontento civile,” ha afferrato Georgette Gagnon, direttrice di Human rights watch per l'Africa. “L'Uganda dovrebbe agire ora sia per rafforzare le proprie leggi che per metterle in atto affinché le elezioni del 2011 possano essere libere ed imparziali.”Nel frattempo, l'Unione Europea sta seguendo attentamente l'attuale procedura di inchiesta sulla appropriazione indebita di 241 milioni di dollari statunitensi destinati ad ospitare il Meeting dei capi di governo del Commonwealth (Chogm) nel 2007 e la sparizione dei 27 milioni di dollari destinati all'esercizio. “Senza dubbio il risultato di questo processo e le misure che il governo dell'Uganda adotterà dopo di esso avranno un impatto sul nostro sostegno all'Uganda”, ha detto De Visscher. (Zachary Ochieng. Traduzione di Sara Marilungo)
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09/06/2010 - Uganda: elezioni sotto la lente internazionale
Le elezioni generali in Uganda continuano ad attrarre l'attenzione globale per paura che possano non essere libere ed imparziali. In caso di irregolarità, l'Uganda rischierebbe di dire addio agli aiuti dell'Unione Europea
NAIROBI – Le elezioni generali in Uganda fissate per l'inizio del prossimo anno continuano ad attrarre l'attenzione globale per paura che possano non essere libere ed imparziali, date le irregolarità che hanno rovinato l'esercizio del voto in passato. La comunità dei donatori, che contribuisce al 30% del budget annuale dell'Uganda, è particolarmente preoccupata dell'escalation di corruzione di funzionari di alto livello nella Perla d'Africa.Elezioni libere e credibili rimangono un prerequisito fondamentale per eliminare la corruzione, secondo quanto dichiarato da Vincent De Visscher, Capo della delegazione dell'Unione Europea in Uganda. Se questo non dovesse accadere, l'Uganda rischierebbe di dire addio agli aiuti da parte dell'Unione Europea. “Il governo ugandese, sotto gli impegni presi per gli aiuti da parte dell'Unione Europea, ha il mandato di rispettare i principi dei diritti umani, della democrazia e del rispetto della legge, che sono parte integrante della nostra collaborazione,” ha detto De Visscher. Aggiungendo: “Elezioni imparziali, trasparenti e credibili in Uganda saranno infatti un importante test di credibilità a tal proposito.”Si ritiene che il presidente Yoweri Museveni, che è stato precedentemente accusato di aver manovrato le votazioni e aver emendato la costituzione per rimuovere i limiti temporali del mandato presidenziale, si presenti nuovamente come candidato, ma stavolta contro un'opposizione unita sotto il suo ex medico personale diventato ora suo rivale, il Dr. Kizza Besigye. Presagendo una sconfitta, il governo di Musaveni si è intromesso nell'indipendenza della Commissione Elettorale del paese ed ha perseguito i media considerati favorevoli all'opposizione. Questa mossa non è piaciuta alla comunità internazionale, specialmente al Congresso statunitense.Ma in una replica durante un recente incontro con il vice segretario di stato statunitense per gli affari africani Jonnie Carson, Musaveni ha difeso l'indipendenza della Commissione elettorale, dicendo che i commissari venivano selezionati da diversi gruppi professionali, prima di venir attentamente esaminati dal parlamento. In sua difesa, Museveni ha affermato che il capo della commissione, Badru Kiggundu, non aveva mai lavorato per il governo e non aveva mai sostenuto nessun partito politico durante la presidenza dell'associazione di ingegneri. Ha anche difeso l'esercizio di registrazione dei votanti, affermando che il governo era impegnato ad ottenere un registro di elettori chiaro. Tuttavia, Carson ha compreso le preoccupazioni dell'opposizione. “E' nell'interesse del governo rafforzare la commissione affinché infonda fiducia nei vari attori politici”, ha detto Carson, la cui visita a Kampala si è svolta sullo sfondo della minaccia di un boicottaggio da parte dell'opposizione di tutti gli eventi organizzati dalla commissione elettorale, accusata di faziosità. Ma il governo dell'Uganda ha negato qualsiasi accusa di faziosità da parte della commissione. La visita di Carson è stata anche causata da un rapporto presentato al Congresso statunitense che accusava il governo ugandese di tirare per le lunghe le riforme elettorali. Musaveni tuttavia ha affermato che il governo americano non aveva il diritto di impartire insegnamenti all'Uganda su questioni relative alla democrazia. Non soddisfatti dell'attuale composizione del corpo elettorale, i partiti di opposizione hanno spinto per una sua completa revisione prima di partecipare alle elezioni del 2011. “La commissione elettorale è profondamente screditata e non può sostenere delle elezioni libere e giuste come previsto dalla costituzione,” ha detto Kibirige Mayanja, presidente della Cooperazione Inter-partitica (IPC). Aggiungendo: “Speriamo che il governo ascolti il desiderio degli ugandesi e licenzi la presidenza della commissione elettorale. Dovessero tuttavia persistere, noi boicotteremo ogni attività elettorale che loro organizzeranno”. (Zachary Ochieng. Traduzione di Sara Marilungo)(Vedi il lancio successivo)
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06/04/2010 - Uganda, le rifugiate realizzano assorbenti in carta pergamena e straccia
Il progetto "Makapads" è dell'Unhcr. Due le sedi che producono gli assorbenti a basso costo destinati alle donne dei campi profughi. Jehu-Hoyah (Unhcr): "Uno degli esempi più belli di rifugiati che si uniscono per rispondere ai bisogni di donne e bambini"
NAIROBI – Un progetto che usa carta pergamena e carta straccia per produrre assorbenti esterni ha cambiato la vita di Evelyne Banyamisa, che è fuggita dalle violenze dei ribelli in Bunia, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo (Drc) nel 2003 quando aveva solo 13 anni. Dopo aver lasciato la Drc, Bamanyisa è finita nel sud-ovest dell'Uganda dove ha vissuto come rifugiata. Si è separata dai suoi genitori quando sono fuggiti da Bunia, e Banyamisa, suo fratello più grande, una sorella più giovane ed un nipote sono arrivati nel capo profughi di Kyaka II dove hanno vissuto insieme come una famiglia fino al 2008 quando suo fratello è scomparso. “Non so dove sia andato; ho denunciato la sua scomparsa ma finora non ho avuto notizie; attualmente mi sto occupando di mia sorella, mio nipote ed un'orfana che ho deciso di accogliere in quanto non aveva nessuno che si prendesse cura di lei,” ha detto Banyamisa, che ha ora 20 anni. Con l'aiuto dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), Banyamisa è riuscita a continuare la scuola mentre era in Uganda, ritirandosi al terzo anno di istruzione secondaria. “Sono stata per circa due anni senza nulla da fare qui a Kyaka,” ha detto. “Fortunatamente, sono stata assunta nel Giugno del 2009 da Makapads dove ora mi occupo del controllo qualità,” ha detto Banyamisa. “Ho uno stipendio mensile di 80,000 scellini (40 dollari statunitensi) che uso per mantenere la mia famiglia; dove avrei preso tali soldi senza Makapads?”Istituito nel 2008 da un professore universitario di Makerere, Unhcr e il suo partner attuatore Gtz, il progetto Makapads non solo ha trasformato la vita dei suoi impiegati, ma ha anche reso disponibili assorbenti esterni per decine di migliaia di rifugiate – la maggior parte delle quali congolesi – che vivono nell'insediamento nel sud-ovest dell'Uganda. Moses Kizza Musaazi, docente all'Università di Makerere, ha avviato il progetto per aiutare le ragazze svantaggiate ad acquistare assorbenti esterni ad un prezzo conveniente. Il progetto ha successivamente ricevuto il sostegno dell'Unhcr e di Gtz, portando all'istituzione di due sedi nell'insediamento dei rifugiati Kyaka II dove gli assorbenti vengono prodotti, acquistati da Unhcr e distribuiti fra le rifugiate.I Makapads vengono prodotti anche nella capitale, Kampala, alla facoltà di tecnologia dell'Università di Makerere. All'interno dei 209 chilometri quadri di Kyaka II, il progetto Makapads viene gestito in due sedi, impiegando dozzine di rifugiati, la maggior parte donne. La sede dove lavora Banyamisa ha 29 impiegati, 24 dei quali sono donne. “Il progetto ha anche attirato l'interesse dei cittadini che vivono vicino al campo profughi. Vogliono essere coinvolti in quanto si rendono conto dei benefici ma per ora abbiamo sono rifugiati che lavorano qui,” ha detto Ibrahim Rumanyika, responsabile del progetto Makapads in Kyaka II.Rumanyika è un rifugiato congolese arrivato in Uganda sei anni fa. Il processo di produzione comincia con la raccolta e consegna di canne di papiro, ha affermato Rumanyika. “una volta che abbiamo il papiro, questo viene pelato, tagliato in piccoli pezzi e macinato in polvere,” ha detto. “Poi lo setacciamo per rimuovere le particelle più grosse. Viene in seguito messo in un altro contenitore riempito d'acqua, dove è mescolato con polpa di carta straccia; prendiamo la carta da Unhcr in Kampala. Da li, mettiamo la miscela in rastrelliere d'asciugatura; impiegano alcune ore ad asciugarsi quando il tempo è buono, ma quando piove non asciughiamo quasi nulla,” ha detto Rumanyika. “Poi portiamo i fogli asciutti nella stanza di produzione dove vengono ammorbiditi e lisciati e tagliati a forma di assorbenti; vengono quindi combinati con una polpa asciutta di sola carta [più morbida], impacchettati in un materiale esterno più morbido, sigillati e sterilizzati.”Con solo due edifici e 50 rastrelliere per l'asciugatura allineate di fuori, il progetto funziona grazie all'energia solare. “Anche la sterilizzazione diventa un problema in quanto dipendiamo dall'energia solare; talvolta non riusciamo a produrre la quantità giornaliera necessaria per questo motivo,” ha aggiunto. Il sito produce una media di almeno 3 mila pacchi al giorno – ognuno di 10 assorbenti esterni. “Unhcr compra gli assorbenti da noi e li distribuisce ai rifugiati qui negli insediamenti di Kyaka e Nakivale ma produciamo anche assorbenti per la vendita al minuto presso punti vendita locali,” ha affermato Rumanyika. La maggior parte delle attrezzature è prodotta a livello locale, ha detto Rumanyika, con la sola eccezione del nastro adesivo e della copertura esterna più morbida, che vengono importati.Un pacco Makapad viene venduto al pubblico al prezzo di 1,000 scellini ugandesi (0,50 dollari statunitensi) mentre il prezzo per altre varietà sul mercato parte dai 2,000 scellini (1 dollaro). Banyamisa ha detto che la sua vita è quella di altre rifugiate che usano gli assorbenti è cambiata in meglio. “In precedenza, molte di noi usavano stoffa o carta igienica; il problema con la stoffa era che spesso non abbiamo il sapone per lavarla, qualche volta non c'è acqua, e finisci per avere un cattivo odore,” ha detto. “Da quando sono stati introdotti i Makapads, i giorni deprimenti di ciclo sono terminati; l'unico problema per ora è che gli assorbenti sono troppo sottili per le donne con un ciclo abbondante. Penso che dovremmo fare assorbenti specifici per quelle donne”. Secondo l'Unhcr, il progetto Makapads di Kyaka II possiede il potenziale di diventare auto-sostenibile. Per il momento, l'agenzia fornisce la carta straccia che viene mescolata al papiro per produrre assorbenti.Needa Jehu-Hoyah, collaboratrice per le relazioni esterne dell'Unhcr in Uganda, ha dichiarato: “Il progetto Makapads è uno degli esempi più belli di rifugiati che si uniscono per rispondere ai bisogni di donne e bambini e preservare la loro dignità. Abbiamo recentemente raggiunto l'obiettivo del 50 percento di fornitura di Makapads per rifugiate in età riproduttiva negli insediamenti profughi”. Maria Mangeni, esperta Makapads dell'Unhcr ha detto che grazie all'accresciuto interesse nel progetto, l'Unhcr stava pianificando di replicare il progetto in altri insediamenti profughi nel paese. (Zachary Ochieng, traduzione di Sara Marilungo)
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19/01/2010 - Proposta di legge contro l'omossesualità: Musaveni prende le distanze
Dopo le pressioni internazionali, il presidente annuncia che non appoggerà la proposta che prevede la pena di morte per il crimine di “omosessualità aggravata”, che si configura quando una persona sieropositiva ha un rapporto con un disabile o un minore
NAIROBI – Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha indicato che non appoggerà una proposta di legge mirante ad imporre la pena di morte per il crimine di “omosessualità aggravata” (quando una persona sieropositiva ha un rapporto sessuale con un invalido o minore di 18 anni). Musaveni sembra essersi piegato alla pressione internazionale, dicendo ai membri del suo partito al governo, il Movimento di Resistenza Nazionale (Nrm) che il primo Ministro britannico Gordon Brown, il primo Ministro canadese Stephen Harper e il Segretario di Stato americano Hillary Clinton lo hanno tutti incoraggiato ad assicurarsi che la controversa proposta di legge non venga approvata. “Ho detto loro che questa proposta di legge è stata promossa da un membro privato e non ho nemmeno avuto il tempo di discutere con lui; il governo e il partito Nrm non c'entrano”, ha detto ai membri del partito durante un incontro il 13 gennaio, secondo quanto riportato dai media locali. “Questa è una questione di politica estera e dobbiamo discuterla in modo che non comprometta i nostri principi ma che tenga anche in considerazione i nostri interessi nei rapporti con l'estero.”La proposta di legge contro l'omosessualità – introdotta come proposta personale da parte del parlamentare David Bahati nell'ottobre del 2009 – costringerebbe inoltre le persone accusate di omosessualità aggravata a sottoporsi a test per l'Hiv, e imporrebbe la condanna al carcere o pesanti multe ai membri della comunità che omettessero di denunciare attività omosessuali.Bahati ha dichiarato che non vedeva l'ora di discutere con Musaveni per elaborare una versione della proposta di legge che possa adattarsi agli interessi internazionali senza tradire i “principi interni” dell'Uganda. Attivisti per i diritti ed operatori sanitari hanno espresso sollievo per il fatto che per ora sembra che la proposta di legge non verrà approvata nella sua forma attuale. “Ho sempre saputo che questa proposta di legge non poteva essere approvata; se viene approvata influirà sulle nostre relazioni internazionali, ma sarebbe anche una legge molto crudele”, ha affermato Frank Mugisha, presidente dell'organizzazione per i diritti degli omosessuali, Minoranze sessuali ugandesi (Smug), “Anche senza la proposta di legge, la comunità gay agisce clandestinamente; come fornitori di servizi eravamo preoccupati, ma ora sappiamo che la proposta di legge sarà discussa e migliorata”, ha detto Janeva Busingye, coordinatore dell'Iniziativa per la popolazione ad alto rischio del Ministero della Salute.Gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini sono stati identificati come popolazione ad alto rischio di contrarre e trasmettere l'Hiv, ma non sono mai stati inclusi nei programmi nazionali ugandesi di risposta all'Hiv/Aids, soprattutto a causa delle leggi esistenti che mettono fuorilegge l'omosessualità; uno studio del 2009 sulle modalità di trasmissione ha suggerito che gli impedimenti legali all'inclusione degli omosessuali nella risposta nazionale vengano riesaminati. (Traduzione di Sara Marilungo)
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22/10/2009 - Uganda: i profughi tornati nei villaggi protestano per la mancanza di servizi essenziali
Le autorità hanno iniziato a chiudere i campi nel nord e si impegnano a ripristinare scuole e strade. Previsti accordi per il reinsediamento di disabili, traumatizzati, donne, orfani
NAIROBI- Le autorità ugandesi hanno iniziato a chiudere i campi profughi nel nord, ma i residenti dichiarano di venir rimandati nei villaggi senza servizi essenziali. “Come faremo ad avere accesso ai servizi sanitari? Come faranno i nostri figli ad andare a scuola?”, ha domandato Deborah Adokorach Adilang nel Distretto di Pader. Il ministro dell'Informazione dell'Uganda Kabakumba Masiko ha detto che la chiusura dei campi era “molto in ritardo” in quanto la maggior parte dei profughi era tornata a casa. “I servizi [nelle zone di ritorno] ci sono ma potrebbero non essere sufficienti,” ha detto. “Il governo si è impegnato a fornire tutte le attrezzature e i servizi di base ed ha impegnato fondi per tali scopi, in accordo col Piano per la Pace, la Ripresa e lo Sviluppo”. Il governo ripristinerà le scuole, i servizi sanitari e le strade, e fornirà acqua potabile sicura nei villaggi dei profughi, ha aggiunto, senza menzionare quanti fondi erano stati impegnati. Verranno stipulati speciali accordi per il reinsediamento dei profughi più vulnerabili, inclusi i disabili, quelli gravemente traumatizzati, donne e bambini, orfani e anziani – molti dei quali erano ancora nei campi. Secondo Mohamed Boudin, ufficiale superiore dell'Agenzia per i Rifugiati dell'Onu in nord Uganda, finora sono stati chiusi sei campi nel Distretto di Gulu, E' stato raccomandato dai leader dei distretti e dall'Unhcr di rimuovere gradualmente altri 60 campi nei Distretti di Gulu, Amuru, Pader e Kitgum entro Novembre. Le chiusure, ha aggiunto Boudin, hanno fatto seguito al ritorno a casa nell'arco degli ultimi 3 anni di due terzi degli almeno 1,2 milioni di profughi che erano stati costretti a risiedere nei campi a causa dei combattimenti nella regione. E' ritornata una certa pace nella zona dopo la firma dell'Accordo di Cessazione delle Ostilità fra l'Esercito di Resistenza del Signore (Lra) e il governo ugandese nel 2006. Al momento, circa 300 mila persone in Acholi, vittime dei danni provocati dal conflitto, rimangono nei campi, ha aggiunto Boudin. Stephen Oloya, direttore del comitato di smantellamento del campo del Distretto di Gulu, ha dichiarato: “Speriamo di completare la chiusura totale dei 31 campi nel distretto entro l'inizio del prossimo anno”. Secondo il Centro di monitoraggio dei profughi (Idmc), comunque, meno del 30% di coloro che fanno rientro ha accesso ad acqua potabile pulita. In un rapporto rilasciato a settembre, “I rientri sono più veloci del piano di ripresa”, l'Idmc ha anche rilevato che i servizi, sovraccaricati, non riuscivano a rispondere alle esigenze della popolazione di ritorno, e le scuole nelle aree di ritorno mancavano di servizi come alloggi per insegnanti, classi, bagni e punti di fornitura d'acqua. Alcuni profughi hanno dichiarato che durante il reinsediamento nei villaggi ci sono state dispute riguardo alla terra. Nel frattempo, all'inizio del mese il presidente del Kenya Mwai Kibaki ha ordinato la chiusura di tutti i campi profughi del paese. Più di 600 mila persone erano state allontanate in seguito alle violenze post-elettorali nel 2007. I profughi, alcuni dei quali sono stati sfrattati con la forza senza che venisse loro offerta alcuna alternativa, hanno protestato con amarezza. Tuttavia, ufficiali del governo hanno dichiarato che tutti i profughi erano stati risarciti e quelli rimasti nei campi erano solo degli impostori. (Traduzione di Sara Marilungo)
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23/03/2009 - Civili massacrati dall'Esercito di resistenza del Signore: appello a Obama
Il conflitto tra i ribelli del Nord Uganda e il governo finisce al Congresso Usa: il senatore Feingold chiede che vengano protette le popolazioni colpite dei paesi confinanti, Repubblica democratica del Congo e Sud Sudan
In esclusiva da News from Africa
NAIROBI - I ribelli dell’Lra hanno proposto un cessate il fuoco al governo dell’Uganda in seguito all’operazione Lightning Thunder, un attacco congiunto delle forze dell’Uganda, del Congo e del Sudan del Sud durato più di due mesi nella foresta di Garamba, Repubblica democratica del Congo. Mentre le due parti rimangono ferme nelle loro posizioni, va da sé che sono stati i civili congolesi ad accusare i colpi dell’operazione. In una dichiarazione fatta al Congresso americano la scorsa settimana, il senatore Russ Feingold, che per lungo tempo ha partecipato agli sforzi per porre termine agli attacchi dell’Lra, ha espresso indignazione per il continuo massacro di civili nel Congo del Nord-est e nel Sudan del Sud da parte dell’Lra. “Proprio negli ultimi due mesi, le milizie dell’Uganda, del Congo e del Sudan del Sud hanno lanciato un offensiva congiunta contro le basi principali dell’Lra nel Congo del nordest. Sono state sollevate serie preoccupazioni circa la pianificazione e la realizzazione di questa operazione. Da quando l’attacco militare è iniziato, l’Lra è stato capace di perpetrare una serie di nuovi massacri in Congo e in Sudan, uccidendo più di 900 persone. Secondo il Genocide intervention network, questo è un tasso di uccisioni che supera quello del Darfur o addirittura della Somalia. Finora, questa operazione non ha fatto altro che peggiorare le cose: non è riuscita a fermare l’Lra e per di più ha stimolato i ribelli a intensificare gli attacchi contro i civili”, ha accusato Feingold.
Il senatore degli Stati Uniti ha esortato il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a occuparsi immediatamente della questione e, in coordinamento con il segretario generale e il rappresentante speciale per le aree colpite dall’Lra, a sviluppare un piano e a stanziare nuove risorse per aumentare la protezione della popolazione civile. “Esorto l’amministrazione Obama a usare la sua voce e votare al Consiglio di Sicurezza per permettere che questo accada. Allo stesso tempo, sollecito l’amministrazione a sviluppare una strategia di coinvolgimento di diverse agenzie governative che si occupi di come gli Stati Uniti possono lungo termine per disarmare e smobilitare l’Lra nel lungo termine, ristabilire l’ordine della legge nelle aree colpite del Congo e del Sudan, e affrontare l’emarginazione politica ed economica nell’Uganda del Nord che inizialmente ha dato adito a questo gruppo ribelle”.
Da parte sua, l’Lra ha preparato una roadmap per il dialogo che prevede 90 giorni di temporaneo cessate il fuoco che verrà pubblicamente annunciato dal governo dell’Uganda e dai ribelli. L’Lra propone che il cessate il fuoco venga coordinato da Chissano, dal mediatore principale Riek Machar e da una squadra di monitoraggio della tregua con base in Sudan del Sud. I ribelli hanno anche proposto di riunirsi a Owiny-Ki-Bul e Ri-Kwangba nel Sudan del Sud, tre giorni dopo che un battaglione preparato per mantenere la pace in Africa e composto da forze neutrali di Kenya, Mozambico, Tanzania e Sud Africa abbia messo al sicuro la zona d’incontro predisponendo un’ “area cuscinetto”. L’Lra ha anche proposto a Chissano di convocare una conferenza di pace con la partecipazione degli interessati a Dar-es-Salaam il 27 e 28 marzo. Secondo Nyekorach-Matsanga, la conferenza riunirà i leader culturali e quelli della società civile impegnati nel processo di pace per l’Uganda del Nord e del Nordest. Un obiettivo chiave della conferenza è lo studio di una struttura alternativa per la firma dell’accordo di pace finale con parametri precisi, scadenze e meccanismi di controllo del sostegno civile.
Mentre chiedevano il blocco delle recenti operazioni militari per permettere di riprendere le trattative per la conclusione di un Accordo finale di pace, l’Lra ripete che restano comunque una spina nel fianco i mandati della Corte penale internazionale (Cpi). “Il generale Kony mi ha ordinato di dire al mondo che la questione dei mandati della Cpi sarà al centro di ogni nuova trattativa. E’ ora chiaro che il mostro delle imputazioni della Cpi è diventato un episodio determinante in questo conflitto”, ha dichiarato Matsanga, sostenendo che i mandati dovrebbero a questo punto essere revocati visto che Kony ha accettato di essere processato dalla divisione speciale della corte suprema di Kampala. Sostiene inoltre che prima del lancio degli attacchi del 14 dicembre, Museveni aveva chiesto al procuratore capo della Cpi Luis Moreno-Ocampo di ritirare i mandati ma aveva battuto in ritirata strategica quando Moreno-Ocampo minacciò di emettere gli stessi mandati contro le Forze di difesa del popolo ugandese (Fdpu), che allo stesso modo hanno commesso atrocità durante i 23 anni di insorgenze.
I ribelli dell’Lra, guidati da Kony, sin dal 1986 combattono per rovesciare il governo del presidente Yoweri Museveni, presumibilmente per rimpiazzarlo con un governo basato sui dieci comandamenti biblici. La feroce guerra, caratterizzata dal rapimento e dall’arruolamento forzato di bambini all’interno dei ranghi ribelli, ha lasciato decine di centinaia di morti e costretto due milioni di persone ovvero il 90% della popolazione dell’Uganda del Nord a vivere in squallidi campi. Le trattative di pace per porre fine ai 22 anni di combattimenti sono iniziate a Juba, capitale del Sudan del Sud nel 2006; Kony tuttavia in ben quattro occasioni si era rifiutato di firmare il trattato di pace finale riferendo alcuni dubbi sulla sua sicurezza. Il 14 dicembre, un’operazione militare congiunta comprendente gli eserciti di Uganda, Sudan del Sud e Congo ha lanciato attacchi sul suo campo base dal nome in codice Kiswahili nel tentativo di scacciare i ribelli e costringere Kony a firmare l’accordo. Dopo due mesi l’operazione non ha ancora raggiunto il suo scopo. (Zachary Ochieng, traduzione di Sara Marilungo).
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23/03/2009 - Uganda, l'Esercito di resistenza del Signore chiede il cessate il fuoco
Il leader Kony prepara una proposta di pace dopo aver resistito a un attacco congiunto dell'Uganda, del Congo e del Sudan del Sud a Garamba (Repubblica democratica del Congo). Ma annuncia la contro-offensiva se la tregua non sarà accolta
In esclusiva da News from Africa
NAIROBI - Il leader dell'Esercito di resistenza del signore (Lra) Joseph Kony ha fatto appello per il cessate il fuoco al governo dell"Uganda, dopo aver resistito per tre mesi a un attacco militare congiunto nella repubblica democratica del Congo. Parlando nel corso di una conferenza stampa a Nairobi la scorsa settimana, il principale negoziatore dell’Lra David Nyekorach-Matsanga ha detto che la proposta di cessate il fuoco era finalizzata a dare un’opportunità alla pace, considerato che l’opzione militare non era riuscita a raggiungere gli obiettivi prefissati. "L’Lra vuole riconfermare la sua posizione e riaffermare il totale e inequivocabile sostegno al processo di pace nonostante gli attacchi falliti alle sue forze nella foresta di Garamba nel Congo. Siamo consapevoli che l’opportunità di portare la pace nell’Uganda del Nord non sarà recuperabile una volta che avremo perso quest’occasione per mancanza di parametri precisi nella promozione del processo”, ha dichiarato Matsanga.
Secondo Nyekorach-Matsanga, il presidente del Sudan del Sud Salva Kiir e l’inviato speciale delle Nazioni Unite per le aree colpite dall’Lra hanno viaggiato fino a Kampala la scorsa settimana per discutere una proposta di cessate il fuoco con il presidente Yoweri Museveni. Tuttavia l’Lra ha fatto presente con velata minaccia che avrebbe lanciato una contro-offensiva nel caso in cui la proposta di tregua non fosse stata accolta. “La mia delegazione ha fatto quello che ha potuto e ora ha deciso che se questa proposta non venisse accolta dal governo dell’Uganda, la delegazione di pace dell’Lra informerà il comando supremo e Kony per prendere decisioni sul prossimo stadio del conflitto”, ha dichiarato Nyekorach-Matsanga, aggiungendo che i combattenti dell’Lra potrebbero essere costretti a rientrare in Uganda. “Il mondo deve capire che come volontari di pace abbiamo fatto tutto ciò che potevamo per salvare vite e non permettere che il conflitto raggiungesse l’Uganda. Quello che succederà dopo il 18 dipenderà dalla risposta del governo ugandese che ha ordinato l’Operazione Lightening Thunder”.L’operazione Lightning Thunder - un attacco militare congiunto delle forze dell’Uganda, del Congo e del Sudan del Sud che aveva lo scopo di cacciare i solitari leader ribelli ed i loro combattenti dalla fitta foresta Garamba nella Repubblica Democratica del Congo – è stata lanciata lo scorso 14 dicembre. Mentre il governo dell’Uganda dichiara che l’operazione è stata un successo, dato che sono stati catturati i comandanti al vertice dell’Lra, questi ultimi d’altra parte liquidano gli ufficiali catturati come “molto giovani” all’interno della gerarchia dell’Lra aggiungendo inoltre che Kony e i vertici più alti, inclusi Okot Odiambo e Dominic Ongwen, sono rimasti illesi. I bombardamenti aerei iniziali hanno colpito campi vuoti che Kony ed i suoi combattenti avevano abbandonato. (vedi lancio successivo) (Zachary Ochieng, traduzione di Sara Marilungo).
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08/01/2009 - Il gruppo di crisi internazionale: ''Per il Nord Uganda serve un cambio di strategia''
In un nuovo rapporto, l'Icg avverte che senza nuovi negoziati sul disarmo dell'Lra e la riconciliazione della regione il processo di pace di Juba (avviato nel giugno del 2006) sarà stato un fallimento
In esclusiva da News from Africa
NAIROBI – I colloqui di pace tra il governo dell'Uganda e i ribelli dell'Esercito di resistenza del Signore (Lra) si dirigono verso il collasso. Il leader della formazione ribelle, Joseph Kony, ha mancato l'ultima scadenza, il 29 novembre, per la firma dell'accordo finale di pace. E secondo un nuovo rapporto del Gruppo di crisi internazionale (Icg) anche se la minaccia dell'Lra si è spostata fuori dall'Uganda, il nord del paese non ha ancora la certezza di una pace duratura.
Il rapporto, intitolato “Nord Uganda: la strada verso la pace con o senza Kony”, sottolinea che le politiche di ricostruzione, sviluppo e sfruttamento delle risorse petrolifere avviate dal governo potranno portare la pace solo se unite a un credibile processo consultivo sui benefici e le misure di riconciliazione che affronti la questione della marginalizzazione della regione settentrionale rispetto alle istituzioni nazionali. Secondo l'Icg è necessario continuare i negoziati su alcuni aspetti che nei protocolli dell'accordo di pace non sono stati affrontati sufficientemente, in particolare riguardo al disarmo e al reintegrazione dei combattenti dell'Lra.
Il processo di pace di Juba, avviato nel giugno del 2006, è stato considerato storico per varie ragioni. In ventuno mesi si sono prodotti cinque protocolli per mettere fine a un conflitto durato 22 anni e garantire il disarmo e la reintegrazione di un gruppo ribelle tra i peggiori di sempre in termini di violazioni dei diritti umani. La relativa rapidità con cui gli accordi sono stati negoziati e firmati è stata anche la loro debolezza. Questioni chiave – come le rivendicazioni della popolazione nord-ugandese sulla marginalizzazione e gli abusi compiuti dal partito al governo, il Movimento di resistenza nazionale (Nrm); un credibile processo di riconciliazione basato sulla certezza della pena per i responsabili dei crimini di guerra, compresi i membri dell'esercito; un sistema equo di indennizzi; e un incentivo credibile per il disarmo di Kony e dei suoi uomimi – non sono state risolte. Kony non rappresenta la popolazione del Nord Uganda, ma finché le richieste e le legittime rivendicazioni dei nord-ugandesi non verranno affrontate seriamente, i combattenti dell'Lra resteranno sempre un possibile veicolo per l'espressione delle frustrazioni degli abitanti della regione.
Non c'è realisticamente possibilità per una soluzione militare, ma finora un’alternativa nazionale credibile al processo del Tribunale penale internazionale (Icc) per Kony e per altri quattro membri dell'Lra non è stata fornita con sufficiente dettaglio per costringere i leader ribelli a uscire dalla latitanza. Inoltre, le disposizioni sul disarmo e il reintegrazione discusse nel processo di Juba sono irrilevanti per alcuni combattenti. Da quando nel 1994 si è trasferito in Sudan, l'Lra ha commesso innumerevoli atrocità, reclutando e sequestrando civili sudanesi che rappresentano ora la maggioranza all'interno della formazione ribelle. Questi combattenti non hanno interesse in negoziati focalizzati sull'Uganda e vogliono che siano affrontate le questioni relative al loro disarmo. Se si interessano a questioni politiche sono quelle del loro paese, non di quello di Kony. Per questo il leader dell'Lra potrebbe aver perso molta della sua importanza. Il fatto che decida di uscire dalla foresta per firmare l'accordo di pace è meno rilevante e non sarà una garanzia contro un'eventuale nuova rivolta nel Nord Uganda finché il governo non si impegnerà a mantenere le promesse fatte alla popolazione della regione.
L'antico protettore dell'Lra, il National Congress Party al governo in Sudan, e l'esercito di Khartoum sono stati tenuti fuori dai negoziati, anche se il loro impegno sarà probabilmente necessario per garantire il successo dell'accordo. Il vicepresidente del governo del Sudan meridionale Rieck Machar che è stato a capo della delegazione di mediatori nei negoziati di Juba, ha sempre rifiutato di affrontare la questione delle dinamiche sudanesi che stanno dietro agli ultimi 14 anni di vita dell'Lra.
L'Lra è ora sparso in un vasto territorio che comprende i confini tra Congo, Sudan e Repubblica Centro Africana. Sta terrorizzando le comunità di Bas-Uélé e Western Equatoria, e partecipa allo sfruttamento illegale del traffico di pietre preziose, oro e avorio. E potrebbe di nuovo lavorare come delegato di Khartoum se il governo sudanese volesse compromettere le elezioni nazionali del 2009, far saltare il referendum nel Sudan meridionale del 2011 o riprendere la guerra contro il fronte meridionale dell'Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese (Spla).
Secondo il rapporto dell'Icg, Kony potrebbe anche non firmare mai l'accordo di pace, ma la fine del conflitto non può rimanere ostaggio del leader dell'Lra e degli interessi economici della leadership dell'Nrm. La conferenza degli attori coinvolti nel processo di pace annunciata in uno dei protocolli di Juba dovrebbe essere utilizzata per organizzare le consultazioni necessarie per creare una forte e indipendente Commissione per la verità e riconciliazione e una credibile Commissione per le Pari opportunità. I donatori coinvolti nel finanziamento della conferenza dovrebbero farsi garanti dell'attuazione delle risoluzioni e del mantenimento degli impegni da parte del governo.
Per promuovere il disarmo dell'Lra, i negoziati hanno bisogno di un nuovo formato. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e il Consiglio di pace e sicurezza dell'Unione Africana dovrebbero dar mandato all'inviato speciale per le regioni colpite dall'Lra (attualmente è l'ex presidente del Mozambico Joaquim Chissano) per negoziare direttamente con Kony e i suoi combattenti, con l'assistenza dal governo di unità nazionale del Sudan formato dall’Ncp e dall'Splm. Machar, che ha poca influenza su Khartoum o Kampla, dovrebbe essere consultato ma dovrebbe lasciare all'inviato speciale Onu/Ua il compito di gestire l'ultima parte dei negoziati. Se Chissano non volesse assumere questa nuova responsabilità, il suo sostituto dovrebbe essere un ufficiale di prestigio della regione, con una forte conoscenza della questione sudanese e una formazione militare forte.
In questo modo il processo giudiziario nazionale disegnato a Juba, con la formazione di una divisione speciale dell'Alta Corte e l'introduzione di elementi di giustizia tradizionale, avrebbe qualche possibilità di soddisfare il Consiglio di Sicurezza e gli standard dello Statuto di Roma, e il caso aperto dall'Icc contro i leader dell'Lra potrebbe essere sospeso. Ma Kony e i suoi comandanti dovranno avere la garanzia che il loro processo sarà equo e non controllato dal governo e che non saranno mandati all'Aia. Secondo l'Icg si potrebbe loro promettere ad esempio che saranno presenti giudizi internazionali e che il processo sarà condotto sul modello del Tribunale criminale internazionale per il Ruanda, in modo da garantire la massima indipendenza del procedimento e la massima sicurezza per gli accusati e per i testimoni. (di Zachary Ochiend. Traduzione di Mariangela Paone)
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12/11/2008 - Nord Uganda, è la popolazione a pagare i costi umani dovuti agli attacchi della Lra
Mentre il Nord Uganda ha vissuto un periodo di relativa pace negli ultimi due anni, sempre più spesso la popolazione civile dell'area regionale è stata vittima degli attacchi. Le conseguenze di un intervento militare
NAIROBI - Mentre il Nord Uganda ha vissuto un periodo di relativa pace negli ultimi due anni, sempre più spesso la popolazione civile dell’area regionale è stata vittima degli attacchi dell’Lra. Secondo la Spiegel, lavorando insieme ai governi dei paesi interessati, ai peacekeeper internazionali nella Repubblica democratica del Congo, nel Sudan meridionale e nella Repubblica Centroafricana – le missioni Monuc, Unmis ed Eufor – bisogna inviare forze nelle aree in cui l’Lra continua ad attaccare. “Le ultime uccisioni, i rapimenti e le crisi umanitarie causate da una serie di attacchi dell’Lra nell’area di Dungu nel Congo orientale dimostrano – dichiara la Spiegel – gli alti costi umani dell’assenza di un qualche sistema di protezione di base”. Dato che Kony insiste nel rifiutare la firma dell’accordo e allo stesso tempo continua a agire con crudeltà nella regione, secondo gli analisti non bisogna escludere nessuna opzione, nemmeno quella militare. “Anche se è certo – sottolinea la Spiegel – che un’azione militare non sarebbe facile. Kony è sfuggito alla cattura per venti anni e ogni operazione militare contro di lui è molto rischiosa. Se la comunità internazionale decidesse di considerare un intervento militare per eseguire i mandati di arresto di Kony e dei membri dell’Lra, deve farlo tenendo in conto i rischi di una missione del genere e i civili innocenti che potrebbero essere uccisi”.La Khabure aggiunge al proposito che un’azione militare potrebbe tagliare le linee di rifornimento per il Sudan meridionale, che dipende commercialmente dall’Uganda, e nulla esclude che un’operazione del genere potrebbe far ritornare l’Lra in Nord Uganda e dar il via a una nuova ondata di distruzioni. Anche secondo la Spiegel un piano militare mal concepito e mal finanziato potrebbe concludersi con una serie di reazioni violente contro i civili e i peacekeeper e causare catastrofici effetti collaterali. Per cui è necessario che tutti i rischi di un’opzione militare siano ben valutati e che siano messi in campo tutti gli sforzi possibili per limitare gli effetti imprevisti di un’azione del genere. Del resto bisogna tenere in considerazione che anche le alternative possono dimostrarsi altrettanto pericolose in termini di costi umani. Se a Kony viene consentito di ristabilirsi e ricostruire il gruppo ribelle, come ha fatto negli ultimi sei mesi, potrebbe essere in grado di dispiegare una nuova e più grande forza. Per cui è inevitabile disegnare un serio piano militare contro la leadership dell’Lra per proteggere le comunità vulnerabili della regione e riportare la stabilità in tempi brevi. “Se adeguatamente finanziata e concepita – concludono le analiste – un’operazione militare chirurgica contro i leader dell’Lra potrebbe essere la soluzione migliore per mettere fine al conflitto”. (Traduzione di Mariangela Paone)
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12/11/2008 - Stallo in Nord Uganda. E gli analisti non escludono l'opzione militare contro l'Lra
A 8 mesi dalla fine dei negoziati di pace, il leader dei ribelli dell'Esercito di Liberazione del Signore continua a rifiutarsi di firmare l'accordo finale. Gli esperti non escludono che si debba ricorrere a una soluzione militare
NAIROBI – A otto mesi dalla conclusione dei negoziati di pace di Juba, dal governo ugandese e dai ribelli dell’Esercito di liberazione del Signore (Lra) non arriva nessun segnale sulla firma a breve di un accordo di pace definitivo. Un’incertezza che sta diffondendo molta preoccupazione tra la popolazione del Nord Uganda che sperava che i negoziati portassero alla pacificazione della regione devastata da una guerra ventennale. Dopo la proroga della firma dell’accordo finale causata dalle preoccupazioni per la sicurezza del capo dell’Lra Joseph Kony, una parte dei delegati delle forze ribelli ai negoziati ha anche valutato la possibilità di firmare l’accordo per conto del leader. Ma secondo gli analisti una soluzione del genere non è accettabile perché non garantirebbe la fine delle brutalità commesse dall’Lra. “Senza la firma di Kony o qualche altro segno credibile del suo consenso, è improbabile che si concluda l’accordo. E del resto una firma per procura potrebbe essere usata da Kony e dalle sue forze per dissuadere i governi regionali e la comunità internazionale dal decidere misure più forti per affrontare l’Lra mentre i ribelli continuano a terrorizzare la popolazione civile di tre o anche quattro stati”, sottolinea Julia Spiegel, analista dell’organizzazione Enough Project. Secondo la Spiegel il processo di pace di Juba ha fatto il suo corso ed è arrivato il momento di dichiarare formalmente la sua conclusione, a prescindere dalla firma di Kony. “Certo, l’opzione della firma dell’accordo deve essere sul tavolo, ma la sorte della popolazione del Nord Uganda non può restare ancora in ostaggio dei capricci di Kony. Anche senza la sua firma, il governo dell’Uganda deve assumere gli impegni presi nel corso delle trattative”, spiega l’analista ricordando che gli impegni includono l’immediata attuazione del piano di ricostruzione e sviluppo del Nord, un robusto sostegno ai programmi di smobilitazione, disarmo e integrazione in modo da incoraggiare i combattenti ad abbandonare le fila di Kony, e la messa in atto di un piano più ampio per la riconciliazione nazionale. Secondo la Spiegel, si tratta di provvedimenti essenziali per risanare le ferite di un conflitto durato ventidue anni e per rendere evidente che le responsabilità ricadono sulla corte di Kony. Simile l’opinione dell’analista del Gruppo di crisi internazionale (Icg), Louise Khabure, secondo cui manca solo la firma finale per l’attuazione dei cinque capisaldi dell’accordo che rappresentano un serio impegno per la pace, la possibilità della ricostruzione del Nord Uganda e la fine dell’insicurezza e dei sequestri nella regione. Tuttavia secondo Khabure una firma per procura è un’opzione da considerare solo dopo aver verificato la credibilità dei rappresentanti di Kony, dal momento che una delle debolezze dei negoziati di Juba è stata proprio la mancata verifica del fatto che i delegato dell’Lra fossero realmente inviati dal leader ribelle. Secondo la Spiegel siccome l’Lra ha spinto per un ritiro dei mandati d’arresto della Corte penale internazionale come precondizione alla firma dell’accordo da parte di Kony, le accuse non devono essere ritirate finché quest’ultimo non darà segni credibili della volontà di uscire dalla selva e finché la sezione speciale dell’Alta Corte Ugandese non sarà pronta per processarlo. Anche se l’eventualità che queste due condizioni di realizzino insieme e in tempi brevi è alquanto scarsa. Del resto le accuse dell’ICC si sono dimostrate l’unico vero strumento di mediazione con Kony, sebbene il loro impatto sarebbe limitato senza uno sforzo regionale concertato per eseguire i mandati d’arresto. “Kony – sottolinea la Spiegel – ha ricevuto ogni tipo di ‘carota’...parte del compenso diario previsto per i partecipanti ai negoziati, cibo, medicine e promesse di larghe somme di denaro in cambio della fine del conflitto che lui ha sempre rifiutato. Ma non è questo il problema. Al processo di pace è mancato uno sforzo congiunto per fare pressione sulla leadership dell’Lra”. Secondo l’analista di Enough Project, Kony non si è sentito costretto a fare nessuna concessione reale o a impegnarsi seriamente per mettere fine a conflitto. Per questo, dopo le “carote”, sono necessari credibili “bastoni”: meccanismi per incoraggiare le defezioni, strategie per tagliare le risorse esterne che supportano l’Lra, un piano di operazioni militari chirurgiche per arrestare Kony e gli altri membri della formazione ribelle accusati dall’ICC, così come un vigoroso piano di sviluppo per il Nord Uganda che faciliti il ritorno volontario degli oltre 800mila profughi che ancora vivono nei campi di accoglienza. “Quando si troverà con le spalle al muro e con una nuova realtà sul terreno, Kony sarà costretto a fare una scelta sul proprio futuro”, sostiene la Spiegel. La Khabure, dal canto suo, sottolinea che la sicurezza e l’incolumità di Kony rimangono due questiono cruciali nel caso in cui si decidesse a firmare l’accordo. Secondo l’analista dell’Icg bisogna discuterne seriamente e porre delle garanzie in appendice ai protocolli di Juba per convincere Kony che tutto andrà bene se si deciderà ad abbandonare i boschi in cui si rifugia e che avrà la libertà di decidere se stare a Kampala o nella sua casa di Odek. “Deve inoltre avere la garanzia della credibilità dell’intero processo. Kony teme la pena di morte, dubita dell’indipendenza del sistema giudiziario in Uganda e ha paura di una vendetta da parte delle vittime dell’Lra”, aggiunge la Khabure. (Traduzione di Mariangela Paone)
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16/10/2008 - Uganda: tanti i bambini che lottano per guadagnarsi da vivere in strada
A Gulu, paese a nord dell'Uganda, sono molti coloro che si guadagno da vivere vendendo bottiglie di plastica, facendo mestieri ambulanti o prostituendosi. Anche questa una conseguenza della guerra tra forze governative e Lra
In esclusiva da News from Africa
NAIROBI – John Kibwola, 14 anni, sfida il sole rovente del pomeriggio vendendo la sua collezione di bottiglie di plastica lungo Acholi Street a Gulu, paese del Nord Uganda. “E’ facendo questo che mi procuro un po’di cibo - dice Kibwola -. Ho venduto bottiglie di plastica usate e contenitori per gli ultimi due anni”. Ha iniziato a vendere bottiglie da quando ha lasciato il suo villaggio di Cwero, circa 65 km ad est del paese di Gulu.
Questo è accaduto dopo che i suoi genitori sono morti in un attacco da parte delle milizie ribelli dell’Lra (Esercito di liberazione del Signore). “Quella è stata la fine di tutto e da allora la mia vita non è stata più la stessa - ha detto -. Non potevo sopportare le difficili condizioni di vita nel villaggio, mio fratello è disabile e i miei parenti mi dissero che non avevano i mezzi per aiutarmi così ho deciso di spostarmi sulle strade.”
Per le strade di Gulu ci sono molti bambini come Kibwola, con storie spesso simili. La maggior parte di questi bambini sono orfani che hanno perso i genitori nella guerra durata due decenni al nord del paese e che ha opposto le forze governative ai ribelli dell’Lra.
La vendita ambulante non è l’unico tipo di commercio per questi bambini: anche la prostituzione minorile è comune. “Normalmente ci procuriamo i clienti nei pub, soprattutto commercianti dal Sudan del Sud, camionisti e persone che vivono in paese”, ha dichiarato una bambina di 15 anni che ha rifiutato di dichiarare il proprio nome.
Ha detto che guadagna fra i 3,000 (2 dollari americani) e i 7,000 scellini (4,60 dollari) al giorno a seconda del numero di clienti.
Storie di lavoro minorile ricorrono nella maggior parte dei luoghi della paese. Ad una stazione di benzina locale 13 giovani ragazzi si mettono in fila sperando di vendere le loro bottiglie di plastica ai clienti che arrivano e che potrebbero averne bisogno per immagazzinare cherosene. “Raccolgo bottiglie di plastica usate da buche di immondizia in paese e poi le vendo – ha dichiarato ai media un ragazzo, identificatosi soltanto come Okeny -. Al mattino, vado a prendere l’acqua per le persone del paese”. E ha aggiunto che guadagna 200 scellini (circa 13 centesimi di dollaro americano) per 20 litri di taniche d’acqua.
Mentre ex sfollati (IDPs, internally displaced persons) continuano a tornare alle loro case, sono in aumento i casi di bambini che vengono separati dalle proprie famiglie, aumentando il numero di bambini nelle strade.
I bambini vengono anche abbandonati in alcuni campi per sfollati, lasciandoli in questo modo esposti a varie forme di abuso, come rileva una recente stima del campo Idp “Lalogi” di Gulu. La valutazione è stata condotta dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, dalla Ong “World Vision” e dalla locale Organizzazione di sostegno all’Infanzia di Gulu.
“C’è una bruttissima situazione nei campi per sfollati… con i genitori che lasciano i loro figli da soli senza adulti che si prendano cura di loro; noi incoraggiamo i genitori ad andare con i loro bambini nei villaggi”, ha dichiarato Santa Oketta, la segretaria per gli affari dell’infanzia del distretto di Gulu.
Circa il 40% degli sfollati a nord della regione, stimati in più di due milioni nel momento più critico della guerra, hanno lasciato i campi Idp per tornare alle loro case o verso campi di insediamento più vicini ai loro villaggi d’origine.
Oketta ha detto che il numero di bambini di strada e di prostitute minorenni è in crescita, aggiungendo che il numero di minori coinvolti non è ancora stato stabilito. “Questo è un problema che richiede urgente attenzione altrimenti rischiamo di perderne molti con giovani ragazze che si prostituiscono e altri che abbandonano le loro case per la strada”, ha detto. Nel frattempo, Okeny e Kibwola continuano a lottare per guadagnarsi da vivere sulla strada. “Siamo pronti ad andare a scuola se troviamo qualcuno che ci aiuta”, hanno detto. (Traduzione di Sara Marilungo)
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16/09/2008 - Aids, in Uganda prevenzione tramite sms
I livelli di conoscenza del virus sono molto bassi in Uganda, i cellulari sono sempre più diffusi. Così l'ong Text to change ha avviato un progetto pilota insieme alla rete locale di telefonini per incoraggiare gli abbonati a sottoporsi al test
NAIROBI - La prevalenza della crescita dell’Hiv in Uganda sta costringendo i politici a cercare modi ingegnosi per educare la gente alla conoscenza del virus. I livelli di conoscenza riguardo l’accesso alle cure sono spesso molto bassi in Uganda mentre la tecnologia dei cellulari è cresciuta rapidamente. Essa fornisce un mezzo per raggiungere milioni di persone con messaggi di testo. Text to Change (Ttc), una Ong che utilizza un ampio servizio di sms come piattaforma per l’educazione alla prevenzione dell’Hiv/Aids si è associata con l’Aids Information Centre (Aic) ugandese e la rete locale di telefonini (Celtel) in un progetto pilota per diffondere conoscenze riguardo all’Hiv/Aids e incoraggiare gli abbonati a presentarsi volontari per un test Hiv/Aids. La Commissione per le Comunicazioni Ugandese prevede che il numero di utenti di cellulari salirà fino a un picco di sei milioni per la fine del 2008. Nelle aree urbane, almeno il 50% della popolazione possiede un telefonino cellulare, contro il 10% delle aree rurali, secondo quanto riportato nell’Uganda Demographic and Healt Survey (Dhs). I livelli di conoscenza sono spesso bassi; l’indagine ha rilevato che mentre quasi tutti hanno sentito parlare di Hiv/Aids, ma solo circa il 30% delle donne e il 40% degli uomini aveva una conoscenza esaustiva. Ttc ha lanciato il programma pilota il giorno di San Valentino e l’ha portato avanti per le successive sei-otto settimane con lo slogan, “Non indovinare le risposte, impara la verità sull’Aids”. L’organizzazione ha scelto una lista di 15000 abbonati a Celtel nel distretto di Mbarara nell’Uganda del sud-ovest e ha mandato loro un messaggio introduttivo chiedendo se avessero voluto partecipare a un quiz interattivo libero riguardante l’Hiv, con l’incentivo di un cellulare con airtime come premio per le risposte corrette. Veniva mandata una domanda a settimana; se il destinatario rispondeva correttamente riceveva un sms di conferma, e se l’utente rispondeva in maniera sbagliata veniva mandato un messaggio di rettifica. Le domande includevano: “Qual è la differenza tra l’Hiv e l’Aids?”, “Come si trasmette l’Hiv?”, “Hai mai fatto un test per l’Hiv?”. Circa 2.500 dei 15.000 abbonati contattati hanno risposto a tutte le domande. Alla fine del periodo di prova di domande e risposte, i partecipanti sono stati persuasi a fare un test dell’Hiv. Secondo Robert Natlaka, rappresentante dell’Aic, le domande alla struttura centrale di Mbarara sono cresciute del 100%durante la sei settimane del progetto pilota. “Circa 225 (partecipanti) si sono rivolti all’Aic di Mbarara per un test; anche altri sono andati dai partner di Aic nei dintorni del distretto. “Solo il 15% delle donne delle campagna e l’11% degli uomini della campagna conoscono il loro stato riguardo all’Hiv. Dopo aver raggiunto un minimo del 6% nel 2003, la presenza dell’Hiv in Uganda aveva avuto una leggera ripresa e ora si trova al 6,7 percento. Bas Hoefman, il funzionario per le relazioni pubbliche al Ttc, ha rilevato che avrebbero risposto più persone se le domande fossero state scritte nella lingua locale, e se ci fosse stata una maggiore sensibilizzazione e consapevolezza riguardo la campagna. La Ttc pianifica di estendere il programma ad altri distretti per il prossimo anno.
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12/09/2008 - Uganda, le vittime delle mine antiuomo lottano per reintegrarsi
Dopo il ritorno alla pace, i sopravvissuti tornano a casa ma tornare alla normalità è molto difficile: manca l'assistenza medica ed è impossibile lavorare. ''La maggioranza delle vittime è molto giovane''
NAIROBI - Il ritorno della pace in Nord Uganda ha spinto molte persone, precedentemente allontanate, a tornare a casa, ma reintegrarsi nei villaggi si è rivelato duro per i sopravvissuti alle mine antiuomo. "Non avrei mai potuto immaginare che sarei diventato disabile finché non sono stato colpito da una mina piazzata dai ribelli dell'Lra (Esercito di liberazione del Signore) di fronte alla mia porta nel 1995,” ha dichiarato Irene Laker Odwar. “Ora alcune persone mi guardano come fossi un peso o una maledizione.” La Laker, un membro del Gruppo di sopravvissuti alle mine antiuomo Gulu-Amuru, ha detto che diverse vittime di terra nella regione sono state colpite da trauma, non hanno ricevuto supporto medico adeguato e sono incapaci di auto-sostentamento. “Alcuni dei nostri familiari e membri della comunità non vogliono associarsi a noi. Credono che portiamo più seccature che altro”, ha aggiunto. Il Gruppo ha 876 membri nei distretti di Gulu e Amuru. Il numero dei sopravvissuti si ritiene sia maggiore nei villaggi perché alcuni temono di venire allo scoperto ed iscriversi o di esprimere apertamente i loro problemi. “La maggioranza delle vittime di mine antiuomo è molto giovane, richiede ancora molto sostegno per essere capace di guadagnarsi da vivere”, ha spiegato Irene. Inoltre in alcuni dei luoghi dove i sopravvissuti sono tornati, molti hanno percepito che i villaggi erano ancora infestati di mine o altri ordigni inesplosi. “Sono stato colpito ad una fonte a pochi metri da casa mia”, racconta una della vittime, identificata solo come Akello, citata dai servizi della Irin News ad Amuru. “Questo luogo era un covo per i ribelli; potrebbero esserci mine non trovate o ordigni inesplosi.” Altri lamentano che la vita del villaggio non forniva strutture di supporto sociale adeguate come unità sanitarie ben equipaggiate, acqua pulita e strade d"accesso per disabili. Quelli che avevano ferite aperte soffrivano senza cure adeguate. Kalanzi Emmanuel, il funzionario in carica per il centro di ortopedia di riferimento regionale dell’ospedale di Gulu, ha dichiarato che i sopravvissuti avevano bisogno di molto supporto medico nel momento in cui hanno cercato di reinserirsi nei loro villaggi. Ma il centro mancava di personale e attrezzature adeguate per aiutarli tutti. “Il governo ha reclutato solo tre tecnologi e l’Avsi ( ndr un’associazione di volontariato italiana) ne ha reclutato uno in più, un terapista occupazionale, un terapista psicosociale e due operatori sociali per aiutare le vittime,” ha dichiarato. “I governi locali hanno concordato per il trasporto delle vittime al centro per cure di routine o controllo, ma attualmente questo non viene effettuato.” Il distretto di Gulu e l’Avsi gestiscono un progetto per alcuni sopravvissuti, costruendo materiali dalla creta. “Li aiuterà ad acquisire capacità nel fabbricare materiali da costruzione e guadagnare uno stipendio per mantenere le loro famiglie”, ha dichiarato il funzionario del distretto di riabilitazione, Perry Jawoko. Michael Ocan Ongom, educatore per il rischio in miniera, ha detto che il progetto per 12.000 dollari americani aiuterà le vittime a condurre vite significative e ad essere indipendenti. “Stiamo costruendo mattonelle per i tetti, vasi di fiori, portacandele, mattoni di collegamento e stufe di carbone”, ha detto Lanyero Jennifer, una madre di 25 anni che ha perso la gamba destra. “I profitti mi stanno aiutando ad affrontare le spese quotidiane”. Il Nord Uganda è appena emerso da due decenni di conflitto armato fra l’Lra e il governo. Il conflitto ha devastato la regione e ha costretto almeno 2 milioni di persone a fuggire dalle loro case per vivere negli accampamenti. Secondo la Campagna Internazionale per Bandire le Mine Antiuomo (ICBL), il conflitto ha creato la minaccia di mine, ordigni inesplosi e ordigni esplosivi abbandonati. Nel maggio del 2007, una Ong internazionale con base a Gulu ha ricevuto più di 200 segnalazioni di Uxo (ordigni inesplosi) dalla popolazione locale, secondo il rapporto annuale dell’Icbl di quell’anno. “Ci sono molti bossoli di mortaio, granate, bossoli di RPGs (granate a razzo, ndr), bombe aeree… ma possiamo anche trovare singole mine e campi minati vicino al confine con il Sudan del Sud”, ha dichiarato un membro dello staff della Ong nel rapporto. L’Uganda è firmataria del Trattato di Messa al Bando delle Mine, ma la legislazione di implementazione nazionale nel Luglio 2007 ancora doveva essere decretata. Il rapporto inoltre rileva che un accordo di cessazione delle ostilità firmato dal governo e dall’LRA nell’Agosto del 2006 non menzionava specificatamente le mine antiuomo. Sono state tuttavia identificate 13 aree pericolose nel distretto di Lira, 19 in Soroti, 91 in Gulu, 153 in Kitgum e 63 in Amuru. Da allora sono state rimosse le mine di Lira mentre aree nel distretto di Kaberamaido sono state ripulite ed usate per le attività agricole. Negli anni del conflitto si ritiene siano state uccise dozzine di civili. Nel 2006 sono stati riportati almeno 50 incidenti, di cui 11 persone uccise e 39 ferite. Il 70% degli infortuni ha avuto luogo in aree dove era stata fornita un’educazione sul rischio di mine, e il 30% erano bambini. “Il numero totale di incidenti con le mine in Uganda non è noto”, ha dichiarato l’Icbl . “Il governo riferisce di 900 sopravvissuti nell’Uganda del nord e 200 nell’Uganda dell’ovest… dati del ministero della salute, l’Icrc e le Ong indicano che si sarebbero potuti verificare fino a 2000 incidenti con mine/Uxo fra il 1999 e il 2004“. L’Uganda ha chiuso l’industri produttrice di mine a Nakasongola, vicino Kampala, nel 2001. Nel uglio 2003 ha distrutto più di 4000 mine contro le truppe militari ma ne ha trattenute alcune migliaia “per scopi di addestramento”.
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25/08/2008 - Uganda, lunga attesa per l'Accordo finale di pace
La prospettiva di firmare l'Accordo fra il governo dell'Uganda e le truppe ribelli dell'Esercito di liberazione del Signore (Lra) sembra sempre più incerta
In esclusiva da News from Africa
NAIROBI – La prospettiva di firmare l’Accordo Finale per la Pace fra il governo dell’Uganda e le truppe ribelli dell’Esercito di liberazione del Signore (Lra) è sembrata sempre più incerta da quando è sfumato l’incontro fra il leader dell’ Lra Joseph Kony e il mediatore capo Riek Machar in programma per il 13 luglio. Secondo David Nyekorach-Matsanga, leader della delegazione di pace dell’ Lra, Kony ha avuto contatti con Machar e con l’inviato speciale per le Nazioni Unite per le aree colpite dall’Lra Joaquim Chissano con l’idea di organizzare un incontro dove egli potesse esternare le proprie richieste prima di firmare l’Accordo di Pace finale. “Il generale Kony vuole ottenere chiarimenti sui mandati della Corte Penale Internazionale (Icc) e sul fatto se egli potrà o meno mantenere il suo titolo e condividere il potere con il presidente Yoweri Museveni”, ha dichiarato Matsanga.
Mentre Matsanga sostiene che non ci sarebbe bisogno di riaprire le trattative dato che i negoziati hanno avuto successo, uno sguardo più vicino ad alcuni degli accordi firmati finora e visionati da NewsAfrica rivela enormi difetti. “Gli accordi conclusi non raggiungono gli obiettivi programmati per porre fine al conflitto, alle ingiustizie e all’ineguaglianza in Uganda. Anche se l’accordo di pace finale venisse firmato, gli accordi conclusi e i protocolli di attuazione nel loro stato attuale non garantiranno all’Uganda la tanto desiderata pace duratura, la sicurezza e lo sviluppo imparziale, soprattutto nel Nord Uganda”, ha dichiarato una fonte vicina alle trattative di pace di Juba in condizioni di anonimato.
In particolare preoccupano gli accordi raggiunti negli articoli 2 e 3 dell’agenda che riguardano soluzioni generali, responsabilità e riconciliazione. Mentre entrambe le fazioni dei 21 anni di conflitto sono state d’accordo sul fatto che avrebbero assunto la responsabilità per i crimini commessi e mentre questo è chiaramente dichiarato nell’accordo principale, il protocollo di attuazione di quest’ultimo si concentra soltanto sulle atrocità commesse dall’Lra, senza penalizzare le milizie del governo centrale. L’argomento portato avanti nel protocollo è che l’esercito ha un suo proprio tribunale che indaga la condotta dei militari sin dal 1995. Comunque, secondo una sezione della delegazione dell’Lra, l’ Uganda Peoples Defence Force (Updf), prima nota come National Resistance Movement (Nrm) ha commesso violazioni dei diritti umani dal 1986 e deve quindi essere chiamata in causa.
Per quanto riguarda l’articolo 2 dell’accordo, il protocollo viene meno nell’indicare la forma di governo sulla quale le due fazioni si erano accordate in principio. Secondo l’accordo, gli ugandesi avrebbero dovuto decidere in un referendum quale forma di governo avessero preferito, se federale o centrale. Nel protocollo non sono stati indicati chiaramente neppure la rimozione della pena di morte nel Codice Penale ugandese e il ruolo della popolazione del Nord Uganda nella riabilitazione e ricostruzione della regione. Sebbene il governo dell’Uganda abbia delineato un Programma di ripresa e sviluppo della pace (Prdp) che copre il periodo dal 2006 al 2009, il protocollo non presenta linee guida di attuazione, lasciando tutto alla discrezionalità del governo. Il protocollo non è chiaro altresì su quando e quanto bestiame il governo restituirà alla popolazione dell’Uganda del nord che l’aveva perso in seguito ai raids del governo, proprio perché il governo si è impegnato a restituire il bestiame che l’Lra afferma essere stato rubato. Tuttavia, gli analisti spiegano che anche se l’accordo finale venisse firmato, potrebbe non tenere, date le numerose divisione interne alla delegazione di pace dell’ Lra.
Sia l’Lra dei boschi che quelli nella delegazione sono profondamente divisi, senza una chiara indicazione di chi realmente rappresenti Kony. Parte della confusione è stata esacerbata dallo stesso Kony, che ha rimpiazzato i membri della delegazione in una successione veloce, con quelli rimossi che ancora rilasciano dichiarazioni da parte dell’ Lra. Quando gli è stato chiesto riguardo alla composizione di una concreta e genuina delegazione di pace, Matsanga ha detto a NewsAfrica: “Non abbiamo bisogno di un quorum ora poiché non ci sono più trattative di pace. Tutto ciò che abbiamo è un comitato con lo scopo di affrontare le preoccupazioni sollevate da Kony”. A Gennaio Kony ha “licenziato” Martin Ojul come capo della delegazione, sostituendolo con Matsanga, che è stato successivamente cacciato in aprile e rimpiazzato da James Obita.
A giugno, Matsanga è stato riassegnato in circostanze poco chiare ma la sua posizione risulta instabile se gli ultimi eventi al campo dell’Lra seguiteranno in questo modo. Quando è stato reinserito, otto membri nominati per lavorare nella sua squadra lo hanno immediatamente respinto in parte sulla base del fatto che ha ingannato il mondo intero facendo credere che il generale Joseph Kony era intenzionato a firmare l’Accordo di Pace Finale il 10 aprile 2008. Ad alto prezzo per la comunità internazionale e per gli sforzi del mediatore capo e del presidente Chissano, Matsanga ha ingannato le persone convincendole a recarsi fino a Ri-Kawamba per essere testimoni della firma dell’Fpa”, dice una dichiarazione firmata dagli otto membri nominati per lavorare con lui.
Ciò che risulta chiaro è che gli ugandesi dovranno aspettare un po’ più a lungo per l’Accordo di Pace Finale. Con le condanne della Corte Penale Internazionale pendenti minacciose sulla sua testa, Kony non avrà fretta di firmare un accordo che potrebbe equivalere alla firma della sua stessa condanna a morte. Fonti vicine a lui dicono che con la recente accusa del presidente Omar al-Bashir, egli si rende conto di non poter sfuggire al processo dell’Aia e preferirebbe continuare a vivere nei boschi. Un attacco militare rivolto verso di lui comporterà comunque in una forte reazione negativa che potrebbe colpire l’intera regione. (Zachary Ochieng - Traduzione di Sara Marilungo)
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15/04/2008 - Nord Uganda, sprecata l'opportunità di porre fine a 22 anni di conflitto
La regione stava vivendo una relativa calma, ma ora con la scadenza del cessate il fuoco fissata per oggi torna l’ombra di una ripresa degli scontri. Duro colpo per la popolazione che conta 1,6 milioni di profughi
Nairobi - Con il collasso dei negoziati, i ribelli hanno sprecato l’opportunità di porre fine ai 22 anni di conflitto in nord Uganda. Per la prima volta in due decenni, la regione stava vivendo una relativa calma. Alcuni dei due milioni di profughi interni, dopo la firma del cessate il fuoco lo scorso agosto, avevano fatto ritorno alle loro case, riducendo il numero dei profughi a 1,6 milioni. Anche il numero dei “pendolari notturni” era calato considerevolmente. E tuttavia, con la scadenza del cessate il fuoco, fissata per oggi, ritorna l’ombra di una ripresa del conflitto. Facendo naufragare i negoziati l’Lra ha dimenticato che il conflitto ha causato migliaia di morti e di mutilati, provocando sofferenze indicibili e colpendo lo sviluppo politico ed economico-sociale del nord Uganda. Il fallimento dei colloqui è un duro colpo per la popolazione di questa regione per i cui diritti l’Lra combatte. E anche le tribù degli Acholi, dei Lango e dei Teso sono molto frustrate e deluse. I colloqui non sono andati a buon fine anche perché entrambe le parti non si sono impegnate e hanno continuamente violato il cessate il fuoco. Le Forze di difesa del Popolo dell’Uganda (Updf) hanno continuato ad attaccare i soldati dell’Lra nei loro punti di assembramento a Owiny Kibul e Ri-Kwamgba, nel Sudan meridionale. E anche i ribelli hanno continuato a seminare terrore in nord Uganda e in alcune zone del Sudan meridionale, prendendo in ostaggio migliaia di donne e bambini che, durante la guerra, sono stati costretti a combattere. Nessun appello lanciato dal governo e dalla comunità internazionale li ha fermati. Recentemente, alcuni soldati dell’Lra hanno attraversato i confini con la Repubblica Centrafricana, aumentando i sospetti che si stessero riorganizzando per riprendere il conflitto. Sebbene entrambe le parti abbiano negato le accuse, il mancato rispetto degli accordi ha contribuito in modo pesante al collasso dei negoziati. E tra l’altro, già alcuni dei punti contenuti nell’accordo sulla fine del conflitto siglato a maggio 2007 si prestavano a diventare motivo di contesa. A cominciare dall’articolo 6.2 secondo cui il governo, con la consulenza della Commissione per le Pari opportunità, avrebbe dovuto sviluppare e sostenere programmi speciali per rimediare agli squilibri e alle disparità nelle zone settentrionali e nord-orientali del paese. Senza specificare le modalità di attuazione. O come l’articolo 8.2, secondo cui le parti si accordavano affinché i membri dell’Lra che fossero disponibili e qualificati avrebbero potuto essere integrati nelle forze armate nazionali e in altre agenzie di sicurezza. Senza spiegare che cosa avrebbe qualificato una persona per farla entrare nell’esercito. Con queste ambiguità e l’intransigenza di Kony, i negoziati di pace di Juba non potevano ottenere molto.
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15/04/2008 - Uganda, ecco perché i negoziati erano destinati a fallire
Dopo il rifiuto del leader dell’Esercito di liberazione del Signore (Lra), Joseph Kony, di firmare l’accordo di pace definitivo con il governo centrale, aumenta il rischio di una recrudescenza del conflitto nel nord del paese
NAIROBI – La mancata firma dell’accordo tra il governo dell’Uganda e l’intransigente Esercito di Liberazione del Signore (Lra) dopo due anni di negoziati non è una sorpresa. Fin dall’inizio, era evidente che il leader dell’Lra Joseph Kony e, di conseguenza, la sua delegazione non erano pronti per arrivare rapidamente alla soluzione della crisi. Hanno invece continuato ad avanzare richieste, a entrare e uscire dal tavolo delle trattative, ritornando sempre con nuove pretese. I colloqui sono andati avanti ma alla fine sono arrivati a un punto morto, abbattendo ogni speranza di un ritorno alla pace nel martoriato nord Uganda. La responsabilità è, comunque, di Kony. Durante i negoziati, ha ingannato il mondo facendo credere di essere pronto a uscire dai boschi e ad abbracciare la pace. Quando alla fine, la scorsa settimana, si è rifiutato di firmare l’accordo, quella che per la comunità internazionale è stata una sorpresa, per gli osservatori attenti è stata una conferma. Fin dallo scorso anno, quando un accordo sembrava imminente, Kony ha adottato un atteggiamento ambiguo, snobbando il capo dei mediatori Riek Machar e l’inviato speciale delle Nazioni Unite per l’Uganda Joaquim Chissano proprio quando i due avrebbero potuto fornirgli l’opportunità di vedere accolte alcune delle sue richieste. Kony ha sprecato le occasioni, cambiando continuamente i membri della delegazione dell’Lra. La prima a essere “licenziata”, a ottobre, è stata l’allora vice-capo delegazione Josephine Apire. A gennaio, Kony ha poi rivolto la sua rabbia contro il leader della delegazione Martin Ojul, il portavoce Godfrey Ayoo e altri cinque membri della delegazione, accusati di aver tratto profitto dalla partecipazione ai colloqui. Gli osservatori hanno subito sottolineato come i frequenti cambi nella formazione della delegazione fossero un grosso problema per i negoziati. Il colpo finale è arrivato con il licenziamento di David Matsanga, il capo delegazione dei ribelli, deciso proprio mentre il leader religioso e culturale degli Acholi, Machar, insieme ad alcuni osservatori, aspettava Kony nella foresta per la firma dell’accordo. Nei mesi scorsi la notizia più scioccante era stata invece la morte di Vincent Otti, un tempo il braccio destro di Kony, considerato una delle figure chiave dei negoziati. Dopo la conferma che era stato Kony a ordinare la sua esecuzione, gli analisti hanno giustamente espresso preoccupazione per le sorti dei colloqui di pace. Timori divenuti realtà. Fonti ben informate spiegano che Kony negli ultimi tempi ha cominciato a temere per la sua sicurezza e ha disarmato e posto ai domiciliari parecchi comandanti. Ha anche lasciato il suo rifugio nella foresta di Garamba per dirigersi verso la Repubblica Centrafricana dove alcuni suoi soldati avevano già stabilito una nuova base. E ora non è più un segreto che Kony abbia costretto i suoi delegati a mentire sul fatto che fosse pronto a firmare un accordo, come confermato da Matsanga. Il suo predecessore alla guida della delegazione dei ribelli, Ojul, aveva fatto una confessione simile quando era stato costretto a dire che Otti era agli arresti domiciliari pur sapendo che era già morto. Tale è stata la brutalità e la disonestà che l’Lra ha mostrato mentre i colloqui continuavano. Date le circostanze, un collasso delle trattative era inevitabile. Sebbene Kony avesse chiesto spiegazioni sul meccanismo di giustizia alternativo a cui sarebbe stato sottoposto, il mandato emesso dalla Corte penale internazionale (Icc) contro di lui e due suoi comandanti è rimasto una spina nel fianco e un grosso ostacolo per il processo di pace. Ancora oggi non si comprende la controversia che si è creata attorno alle accuse dell’Icc. Se da un lato il mandato contro i suoi leader poteva servire a fare pressione sull’Lra, dall’altro le accuse hanno ostacolato i negoziati dato che Kony ha giurato di non arrendersi finché il mandato non fosse stato ritirato. L’Lra inoltre accusa l’Icc di atteggiamento
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21/12/2007 - Il Nord Uganda, tra conflitto armato e negoziati di pace
La posizione della mediatrice governativa Betty Bigombe, favorevole a una risoluzione pacifica della guerra: l'opzione militare non può essere efficace. La strada politica permette invece di affrontare le cause scatenanti del conflitto
NAIROBI – In un estratto del suo libro, Turning war into peace: An insider’s story, Betty Bigombe, ex mediatrice tra il governo ugandese e i ribelli della Lord's Resistance Army (LRA) afferma di aver preso una decisione personale nei dialoghi di pace, basata sui seguenti principi: primo, la NRA (National Resistance Army) non stava facendo sforzi a sufficienza per porre fine alla guerra, ma anche se avesse tentato una vittoria militare, l'autrice non crede che la soluzione militare avrebbe davvero posto fine al conflitto e assicurato una pace sostenibile. In sintesi, la parte che subisce la sconfitta militare rimarrebbe infatti sottomessa per qualche tempo e il fallimento degli obiettivi che avevano portato alla guerra potrebbe facilmente essere un motivo per riorganizzarsi e riprendere a combattere. Al contrario, una soluzione politica offre l'opportunità di affrontare direttamente le cause che hanno scatenato il conflitto. Qualcuno potrebbe obiettare che fare trattative con gruppi armati significa legittimare la violenza, o dare credibilità a pretese irragionevoli e non negoziabili. Questo argomento è particolarmente vero per la Lra, la cui prima motivazione a combattere il governo ugandese deriva da una chiamata divina giunta attraverso il suo profeta Kony. Per molti, inoltre, scendere a trattative con la LRA significherebbe lasciare impunite le brutalità subite da tanti civili innocenti. L'autrice ricorda che durante il dibattito parlamentare sull'Amnesty Bill (1989), Charles Alai, rappresentante del distretto di Gulu, disse: “Queste sono persone che non meritano l'amnistia; stanno commettendo crimini odiosi: meritano la legge della giungla”. La risposta dell'autrice è semplice: “Finora l'opzione militare ha fallito; abbiamo quindi bisogno di creare incentivi in grado di indurre la LRA a deporre le armi e uscire allo scoperto. E l'amnistia è una delle strade per farlo. Ci sono quelli che sono stati rapiti e costretti a commettere atrocità, vittime che si sono trasformate in assassini. Se i capi della LRA non possono essere stanati, dobbiamo riuscire a convincere gli altri a uscire dalla boscaglia”. La Bigombe è convinta che, sebbene la LRA non abbia una chiara agenda politica e abbia commesso orribili crimini contro la popolazione innocente, i colloqui di pace darebbero alle popolazioni del nord la possibilità di mettere sul tavolo le proprie rimostranze così che il governo possa affrontarle. In secondo luogo, dal momento che il National Resistance Movement non ha attaccato la LRA, non c'è necessità di continuare con una soluzione militare. Il NRA stava semplicemente rispondendo alle atrocità della LRA, a volte diverse ore dopo gli attacchi. Le truppe del NRA erano rimaneggiate ogni volta per incrementare le prestazioni: ogni cambiamento accresceva aspettative e speranze, che puntualmente venivano deluse. La strada delle trattative di pace è ulteriormente avvalorata dai rapporti che l'autrice ha ricevuto sulla condotta di alcuni membri senza scrupoli del NRA, che sfruttavano la guerra per il proprio tornaconto economico. Alcuni di questi rapporti provenivano da funzionari anziani, che svelavano le pratiche di corruzione diffuse all'interno della NRA. Queste e altre rivelazioni le hanno fatto capire le innumerevoli derive della guerra.
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25/10/2007 - Uganda, l'Lra accusa il governo di genocidio
L’Esercito di Resistenza del Signore torna a denunciare le violazioni e gli abusi. Secondo il movimento i morti nel distretto di Kotido sono centinaia. Ma è stato bloccato il rapporto sugli abusi stilato dall’Alto commissario per i diritti umani
Nairobi – Il governo dell’Uganda del presidente Yoweri Museveni nasconde il genocidio che sta perpetrando nel nord del paese. È l’accusa mossa dall’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) che, la scorsa settimana, ha ufficialmente denunciato il genocidio pubblicando le foto delle presunte vittime. Secondo l’Lra il governo sta conducendo uccisioni di massa di civili nel distretto di Kotido, nel nord-est del paese. “L’Lra – si legge nel comunicato pubblicato dal movimento – ha appreso con grande disgusto dell’atteggiamento indifferente e insensibile dell’ambasciatore ugandese alle Nazioni Unite Francis Butagira che, l’8 ottobre scorso, ha colpevolmente bloccato l’inserimento, nel programma dell’Assemblea generale Onu, del rapporto dell’Alto commissario per i Diritti umani sugli abusi e le violazioni commesse in Nord Uganda dal dittatore Museveni. Butagira ha dichiarato, sbagliando, che il rapporto sarebbe stato ‘un’interferenza politica negli affari interni dell’Uganda’ e che ‘il commissario non ha il mandato di tendere un agguato agli Stati Membri su simili questioni’”. L’Lra accusa Butagira per aver dichiarato che “il rapporto avrebbe potuto avvelenare il processo di pace avviato nell’ambito dei colloqui di Juba” e che si trattava di un tentativo di “combattere il regime e appannare l’immagine del paese”. Dichiarazioni a cui l’Lra replica con la domanda: “Dove accade che rapporti sulla situazione dei diritti umani siano considerate o qualificate come interferenza politica?”. Per l’Lra “quest’ultimo spietato, inumano e irresponsabile atto rafforza la convinzione del movimento e della popolazione di gran parte del Nord Uganda dell’esistenza e della ricerca da parte dell’Hitler di Uganda, Museveni, di una politica deliberatamente sadica e di un programma spietato non solo per nascondere due decenni di sofferenze e distruzioni ma, soprattutto, per fermare ogni sforzo esterno di valutare le denunce sul lento e sistematico genocidio perpetrato contro il popolo del Nord Uganda”. Nel comunicato si legge che, come riportato dalla stampa e dai gruppi per la difesa dei diritti umani, il governo conduce raid, bombardamenti di villaggi e uccisioni di centinaia di civili innocenti nel Distretto di Kotido a Karamoja, nel nord-est dell’Uganda. “Un governo impopolare e illegittimo disprezza e spreca un’opportunità internazionale d’oro, come quella dell’8 ottobre, per far luce sui diritti umani nel paese, negando a noi, alla popolazione dell’Uganda, di beneficiare e usufruire della difesa e promozione universale del rispetto dei diritti fondamentali alla vita, alla sicurezza, alla pace e allo sviluppo”. Secondo L’Lra, il governo ugandese non vuole porre fine alla guerra e il regime di Kampala non è preparato a guardare a se stesso con un costruttivo criticismo, né ad addossarsi la responsabilità delle uccisioni di massa, delle distruzioni, degli abusi, dei crimini di guerra e contro l’umanità. L’Lra sottolinea che viene minata in questo modo la fiducia e la lealtà verso il governo dell’Uganda come partner con cui il popolo ugandese e, in particolare, l’Lra possono convivere nel comune intento di stabilire le verità nascoste per creare una pace duratura in un Paese riconciliato. “Non sorprende che, nel tentativo di sviare l’attenzione dalla sua diabolica condotta e dalle sanguinose violazioni dei diritti e delle leggi internazionali, il regime di Museveni – si legge nel comunicato – sia impegnato in una infondata e calunniosa campagna e azioni militari contro l’Lra le cui convinzioni e il cui impegno nei colloqui di pace di Juba dimostrano come Museveni sia un Hitler d’Africa senza precedenti”. Il comunicato, firmato dal portavoce dell’Lra, Godfrey Ayoo, si conclude con la riaffermazione da parte del movimento “del suo impegno solenne per un processo nazionale di responsabilità e riconciliazione per una pace giusta e duratura. Chiediamo al regime ugandese e al dittatore Museveni – si legge nel testo – di accettare respons
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25/05/2007 - Nuove ombre sul processo di pace in Nord Uganda
Nonostante il riavvio, il mese scorso a Juba le questioni che a gennaio avevano portato all'uscita dell'LRA dal tavolo negoziale rimangono ancora aperte. E le speranze di pace per la regione ugandese si allontanano di nuovo
In esclusiva da News from Africa
JUBA (Sudan meridionale) – Molte incertezze incombono sul processo di pace in Nord Uganda riavviato il mese scorso a Juba, nel Sudan Meridionale, dove si sono incontrati i membri del governo ugandese e i ribelli dell'Esercito i Liberazione del Signore (LRA). Le trattative – riprese dopo uno stallo di quattro mesi – sono ancora inficiate da diffidenza e sospetto, dal momento che, come sostengono gli osservatori, le questioni che hanno portato alla rottura dei negoziati a gennaio non sono state ancora affrontate adeguatamente.
Il Gruppo per le Crisi internazionali (ICG) nel suo ultimo rapporto, “Nord Uganda: afferrare l'opportunità della pace”, sostiene che riavviare le trattative nell'attuale situazione non può che portare al fallimento, dato che l'inviato speciale Onu in Nord Uganda, l'ex presidente del Mozambico Joaquim Chissano, intervenuto per salvare il processo di pace dal collasso, non ha ancora il potere necessario per far superare la diffidenza reciproca tra le parti in causa. Nonostante ai cinque Stati africani osservatori – Kenya, Tanzania, Sud Africa, Mozambico e Repubblica democratica del Congo – si sia aggiunto il sostegno di Stati Uniti e Gran Bretagna, importanti questioni spinose rimangono ancora irrisolte.
Le accuse del Tribunale penale internazionale (Icc) contro cinque membri dell'LRA sono uno dei maggiori punti di rottura. “Il mandato dell'Icc è la nostra spina nel fianco”, dichiara Godfrey Ayoo, portavoce della delegazione dell'LRA per il processo di pace. Ayoo sottolinea che l'LRA da sempre chiede al governo ugandese, al Consiglio di sicurezza Onu e alla comunità internazionale di far ritirare il mandato di arresto. Ma il governo dell'Uganda continua a ripetere che il mandato non può essere ritirato e che la questione potrà essere riconsiderata solo dopo la firma di un Accordo di pace comprensivo. Il problema è che il ritiro del mandato è la condizione alla firma dell’accordo posta dal leader dell'LRA Joseph Kony e dal suo vice Vincent Otti che minacciano gravi conseguenze per chi dovesse dar seguito alla richiesta di arresto.
E’ molto probabile che sulla questione si deciderà la riuscita o la fine del processo di pace.
Quando i negoziati sono ripartiti a Juba il mese scorso, il ministro dell'Interno ugandese e capo della delegazione governativa, Ruhakana Rugunda, ha ribadito che avendo firmato lo Statuto di Roma dell'ICC, l’Uganda non ha l'autorità per sospendere o ritirare il mandato d'arresto. “La posizione del governo sull'ICC rimane molto chiara – ha dichiarato Rugunda – Noi possiamo impegnarci con l'ICC solo dopo che sia stato raggiunto un accordo di pace formale e che l'LRA abbia accettato di sottoporsi al sistema tradizionale di giustizia Acholi, il Mato Oput. Il processo richiederà che l'LRA riconosca i propri crimini, faccia ammenda, chieda perdono e paghi i risarcimenti. In secondo luogo, le vittime dovranno accettare le scuse e chiedere la riparazione del danno”. Il ministro ha aggiunto che il governo ha sempre espresso la propria disponibilità a lavorare sia con l'LRA che con le vittime su questa questione. “L'LRA deve comprendere – ha sottolineato il ministro – che la questione dell'impunità deve essere affrontata. Il mandato non può essere ritirato, sospeso o messo da parte altrimenti”.
Il processo di pace, che è cominciato nel luglio 2006, dovrebbe mettere fine al conflitto ventennale che ha contrapposto in Nord Uganda le forze governative e i ribelli dell'LRA, che hanno iniziato nel 1986 a combattere il governo dell'allora presidente Yoweri Museveni per rimpiazzarlo con un regime basato sui dieci comandamenti biblici. Sebbene alcune intese siano state siglate, un accordo di pace comprensivo resta ancora una chimera.
L'LRA reclama tra l'altro che Chissano non mantenuto l’impegno preso dopo il rientro della delegazione al tavolo di Juba: garantire un trattamento paritario ai delegati. Ma l'LRA sostiene che la propria delegazione è stata trattata come paria. “Purtroppo sia il mediatore che il governo ugandese ci vedono come terroristi e non come partner paritari nei negoziati per la pace” lamenta Josephine Apira, vice-capo della delegazione dell'LRA. Secondo l'LRA, mentre i negoziati dovrebbero essere sottesi da uno spirito di dare e ricevere, i propri delegati sono stati trattati con i metodi del “prendere o lasciare”. Un punto centrale della controversia è il numero di delegati a cui stato consentito di prendere parte al tavolo di Juba: per il governo dell'Uganda erano 20, per l'LRA 15, il che poneva questi ultimi – secondo gli osservatori – in una posizione di svantaggio. La questione è aggravata dal fatto che la delegazione dell'LRA comprende principalmente nord ugandesi della Diaspora con poca conoscenza delle questioni da discutere. Martin Ojul, presidente della delegazione dell'LRA ci ha confidato che la delegazione per come attualmente è composta ha bisogno del sostegno di esperti di risoluzione dei conflitti che li aiutino a mediare. Sfortunatamente, l'ong panafricana Africa Peace Point, che era stata incaricata di assistere l'LRA, è stata messa da parte al momento del riavvio dei negoziati a Juba. Un duro colpo per l'LRA dal momento che l'organizzazione si occupa dell'ospitalità dei suoi delegati a Nairobi sin dallo scorso anno.
L'altra importante questione ancora aperta è l'accordo per la fine delle ostilità, scaduto nell'agosto scorso e prorogato fino a giugno. Nessuna delle due parti lo sta rispettando. Mentre l'LRA denuncia continui attacchi da parte delle Forze di difesa popolari dell'Uganda (Updf) nei punti di assembramento dei propri soldati a Ri-Kwangba e Owiny-Kibul, nel Sudan meridionale, il governo ugandese sostiene che l'LRA commette ancora atrocità nel nord del Paese. “L'accordo – spiega la vice presidente della delegazione dell’LRA Apira – è stato siglato in fretta e deve essere rivisto”.
Il governo del Sudan meridionale, intanto, non è rimasto fuori dal gioco delle accuse e delle controaccuse. Al momento della riapertura dei negoziati, il presidente del Sudan meridionale Gen Salva Kirr Mayardit ha accusato l'LRA di colpire i civili sudanesi. “Noi come governo del Sudan meridionale – ha dichiarato – siamo preoccupati per le atrocità che ancora vengono commesse contro la nostra gente. E' questo il prezzo che dobbiamo pagare per aver ospitato il processo di pace?”.
Un'altra delle questioni, quella della sicurezza dei membri dell'LRA, che aveva determinato la rottura di gennaio, non è stata ancora completamente risolta. Nonostante era stato loro promesso che sarebbero state le guardie presidenziali a garantire la loro protezione, i delegati dell'LRA si sono ritrovati ad avere a che fare con i soldati dell'Esercito di Liberazione del popolo sudanese (Spla) accusati dall'LRA di essere spesso ubriachi e di mettersi a giocare con le armi davanti a coloro che dovrebbero proteggere. Le preoccupazioni dei delegati dell’LRA riguardano anche la presenza di uomini armati stranieri che continuano ad aggirarsi per il loro hotel. E sempre riguardo alla sicurezza pesano ancora le parole pronunciate dal presidente della repubblica del Sudan Omar Al-Bashir e dal suo vice Kiir, che durante le celebrazioni per il secondo anniversario dell'accordo di pace, hanno invitato i civili e i miliziani a mobilitarsi per scacciare l'LRA dal Sudan. Anche per questo i membri della delegazione dell'LRA si sentono ancora persona non grata in Sudan, anche perché i due leader non hanno mai smentito o fatto ammenda per le loro dichiarazioni.
Controversa è anche la permanenza del vicepresidente del Sudan meridionale, Riek Machar come capo mediatore, nonostante sia stato ripetutamente accusato di aver un atteggiamento parziale, data la sua vicinanza al governo dell'Uganda. L'LRA ne aveva chiesto la rimozione, chiedendo che la sede degli incontri fosse spostata da Juba a una località del Sud Africa, dell'Italia o del Kenya. Entrambe le richieste sono state rifiutate. La questione del luogo di incontro non è peraltro peregrina: a Juba i colloqui si tengono in una sorta di pub e – per aggiungere il danno alla beffa – in una sala piccola e poco ventilata nonostante le alte temperature che si registrano in città.
Infine, rimane ancora aperta la questione dei rimborsi per i delegati. Quelli del governo ugandese sono rimasti segreti, mentre ai membri dell'LRA è stato accordato un rimborso di 120 dollari al giorno. Gli analisti sostengono che indennità così alte siano controproducenti per il progresso dei negoziati dal momento che i delegati potrebbero avere interesse a far proseguire le trattative per continuare a intascare i soldi. D'altra parte anche gli imprenditori che traggono beneficio dallo svolgimento dei colloqui, sono ben felici di vedere che si protraggono nel tempo offrendo loro l'occasione per nuovi guadagni. Un uomo d'affari keniano che ha chiesto di rimanere anonimo ha rivelato di avere fatto molti soldi con il processo di pace e di non sperare in una sua rapida conclusione. Tra interessi incrociati e questioni aperte, il Nord Uganda rischia di non vedere tanto presto la pace. (da Juba Zachary Ochieng, traduzione di Mariangela Paone)
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02/05/2007 - Ripartiti i negoziati: per il Nord Uganda la pace è ora possibile
Dopo quattro mesi di stallo, il processo di pace è ripreso nella città sudanese di Juba. I delegati dell'Lra e del governo sudanese hanno ribadito l'impegno per il raggiungimento di un accordo in tempi brevi
In esclusiva da News from Africa
NAIROBI – Dopo uno stallo di quattro mesi il processo di pace tra il governo dell’Uganda e i ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore è ripartito giovedì scorso a Juba, la capitale del Sudan meridionale. I negoziati, avviati nel luglio 2006, erano stati sospesi dopo l’uscita della delegazione dell’LRA preoccupata per la sicurezza dei delegati e per l’atteggiamento pregiudiziale del mediatore-capo, il vicepresidente del Sudan meridionale Riak Machar.
Ma, dopo l’intervento dell’inviato speciale delle Nazioni Unite nel Nord Uganda, Joaquim Chissano, i delegati dell’LRA hanno accettato di far ritorno al tavolo di Juba. Per sbloccare la situazione Chissano aveva organizzato nelle scorse settimane due incontri con le delegazioni delle parti coinvolte, gli osservatori provenienti da Kenya, Sud Africa, Mozambico, Tanzania e Repubblica democratica del Congo, e alcuni diplomatici dell’Unione europea accreditati in Uganda. Agli incontri ha partecipato anche l’ong pacifista panafricana, Africa Peace Point (App), rappresentata dal direttore esecutivo Michael Ochieng e da padre Kizito Sesana. Ad App è stata affidata l’assistenza umanitaria dei delegati dell’LRA. Un lavoro di mediazione che si è rivelato efficace.
Parlando durante la cerimonia inaugurale per la ripresa dei negoziati, il generale Salva Kiir Mayardit, primo vicepresidente della Repubblica del Sudan e presidente del Sudan meridionale, ha ringraziato gli osservatori internazionali per il ruolo svolto nel cercare di far ripartire le trattative. “Ringrazio tutti i delegati per aver accettato la ripresa dei colloqui – ha detto il vicepresidente sudanese –. Quando come governo abbiamo iniziato questo processo, il mondo ci ammonì di non trattare con organizzazioni terroriste come l’LRA. Ma noi abbiamo ritenuto che il dialogo fosse la sola strada per portare la pace in Nord Uganda, considerata anche la nostra esperienza qui in Sudan”. Kiir ha inviato l’LRA e il governo ugandese a mettere da parte le loro differenze per il bene della pace in Uganda. “E’ esattamente quello che abbiamo fatto noi – ha aggiunto – per cercare di raggiungere la pace in Sudan”.
Da parte sua Chissano ha ringraziato entrambe le parti coinvolte nelle trattative anche per aver esteso a giugno l’accordo di fine delle ostilità scaduto lo scorso febbraio. “Sono felice di vedere che le difficoltà che avevano portato alla sospensione dei negoziati – ha detto l’inviato Onu – siano state ora superate. Significa che entrambe le parti sono impegnate per la pace”. Chissano ha ringraziato il presidente Kiir per aver presenziato alla cerimonia di riapertura dei colloqui: “La sua presenza dimostra l’impegno del suo governo per riportare la pace in Uganda. Non è bello stare a guardare la casa del vicino che va in fiamme. Ma poche persone osano darsi da fare per spegnere il fuoco. Per questo vi ringraziamo per l’ospitalità che ci avete accordato”.
Il presidente della delegazione dell’LRA, Martin Ojul, ha ringraziato la comunità internazionale e gli osservatori africani per aver evitato il collasso del processo di pace. “Il nostro appello va adesso al governo dell’Uganda – ha detto Ojul – e al capo mediatore Mazhar affinché ci assicurino un trattamento paritario nei negoziati. Noi dell’LRA crediamo che la pace sia la sola opzione per il Nord Uganda”.
Il ministro ugandese per gli Affari interni e capo della delegazione governativa, Ruhakana Rugunda, ha riaffermato l’impegno del governo dell’Uganda per il raggiungimento della pace: “Il popolo ugandese attende questo accordo da oltre nove mesi. Sono sicuro che possiamo risolvere rapidamente le questioni ancora aperte. Chiedo ai membri dell’LRA di firmare l’accordo e sentirsi liberi di far ritorno a casa”. L’obiettivo è mettere fine a una guerra ventennale che in Nord Uganda ha causato morte, distruzione e migliaia di profughi. (Zachary Ochieng – Traduzione di Mariangela Paone)
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26/04/2007 - Uganda, cessa la situazione di stallo: l'Lra torna al tavolo dei negoziati
Ripartono a Juba, nel Sudan meridionale, le trattative del processo di pace per il Nord Uganda. Dopo mesi, governo ugandese e ribelli dell'Lra hanno trovato un'intesa per riaprire il dialogo, grazie all'intervento di Onu e Unione africana
In esclusiva da News from Africa
NAIROBI – Il processo di pace in Uganda che sembrava essersi fermato a un punto morto, è ripartito grazie all’intervento delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana. Le trattative riprendono oggi a Juba, la capitale regionale del Sudan meridionale. Un risultato raggiunto grazie alla mediazione dell’inviato speciale Onu in Nord Uganda ed ex presidente mozambicano, Joaquim Chissano, che tra marzo e aprile ha incontrato entrambe le parti coinvolte e gli osservatori provenienti da Sud Africa, Tanzania, Mozambico e Repubblica democratica del Congo (RDC), a Ri-Kwamgba, lungo il confine tra Sudan e RDC, per cercare di superare lo stallo che aveva portato l’Esercito di resistenza del Signore (LRA) a abbandonare il tavolo negoziale. Per un ritorno alle trattative l’LRA aveva avanzato 28 richieste. Fondamentale per sbloccare la situazione è stato l’incontro che si è svolto lo scorso 13 aprile, tra Chissano, una delegazione dell’Lra, guidata da Joseph Kony, e una del governo dell’Uganda guidata dal ministro dell’Interno Ruhakna Rugunda. All’incontro hanno partecipato anche il vicepresidente del governo del Sudan meridionale Riek Machar, in veste di mediatore-capo nel processo di pace, vari leader religiosi provenienti dal Nord Uganda, il leader del partito Official Opposition al parlamento ugandese e il gruppo parlamentare Acholi.
Secondo Godfrey Ayoo, portavoce della delegazione dell’LRA, l’ultimo incontro, un seguito dei precedenti due organizzati il mese scorso, è servito ad affrontare le preoccupazioni che hanno spinto l’LRA ad abbandonare il negoziato e a trovare un modo per riportarli a Juba. All’ordine del giorno c’è stato anche il rinnovo dell’accordo per la fine delle ostilità, siglato lo scorso anno e ora scaduto. Ayoo ha spiegato che Kony ha riaffermato il suo impegno per la pace. “Ha detto che è il governo a non esserlo – ha sottolineato il portavoce – Per dimostrare il nostro impegno, l’intero commando dell’LRA, incluso Kony e il suo vice Vincent Otti, erano vestiti in abiti civili. E’ la dimostrazione della nostra volontà di passare da uno stile di vita da guerriglia a uno civile”.
Dopo la svolta del 13 aprile, è dunque rinata la speranza che il Nord Uganda possa trovare una strada verso la pace dopo vent’anni di guerra sanguinosa, che ha visto i ribelli dell’LRA contro il governo di Yoweri Museveni e ha causato decine di migliaia di morti e 2 milioni di profughi.
All’incontro di oggi l’inviato Onu Chissano siederà al tavolo come osservatore, per intervenire in caso di problemi. La ripresa dei negoziati, in quella che si potrebbe definire una situazione positiva per entrambe le parti coinvolte, è stata resa possibile da alcune concessioni fatte all’LRA, soprattutto sul piano della sicurezza che era stato il motivo per cui i ribelli avevano abbandonato il tavolo delle trattative (LRAS non è riuscita invece a far sostituire Machar come mediatore-capo).
La tensione era salita al culmine durante le celebrazioni del secondo anniversario dell’accordo di pace, lo scorso 9 gennaio. In quell’occasione il presidente Omar al-Bashir e il suo vice, Salva Kiir, avevano dichiarato i membri dell’LRA persona non grata. Kiir lo avrebbe ripetuto anche il giorno dopo e il 22 gennaio, anche dopo che la delegazione dell’LRA aveva ricevuto una lettera da parte di Machar con l’invito a ritornare ai negoziati. Kiir e il governatore dell’Equatoria Orientale avevano inoltre rivolto richiamato i civili e i gruppi militari del Sudan meridionale a prendere in mano le armi e a liberarsi dei Tong Tong (un termine dispregiativo utilizzato per indicare i membri dell’LRA) dal territorio sudanese. Dichiarazioni apertamente appoggiate dal governo, che in una nota ufficiale del 13 marzo le definiva “corrette”. Per questo – ha spiegato Ayoo – in quelle circostanze l’LRA non aveva altra scelta che uscire dal tavolo negoziale.
L’LRA aveva anche denunciato i ripetuti attacchi subiti ai campi di assembramento di Owiny-Kibul e Ri-Kwangba, nel Sudan meridionale da parte degli oltre 25mila soldati dell’esercito ugandese, chiedendone il ritiro. Ma il governo ha ribadito che le truppe si trovano di stanza in quell’area in base a un accordo con il governo della Repubblica del Sudan e il governo del Sudan meridionale. “Il loro dispiegamento non può essere messo in discussione nelle trattative tra il governo e l’Lra”, ribadiva a tal proposito il comunicato governativo del 13 marzo.
Secondo le nuove intese raggiunte nelle ultime settimane, ai soldati dell’LRA che si trovano nell’Equatoria orientale è stato consentito di spostarsi per raggiungere il campo di assembramento di Ri-Kwangba, nell’Equatoria occidentale. Per il trasferimento sono state concesse sei settimane di tempo, durante le quali il governo ugandese e del Sudan meridionale dovranno garantire il passaggio sicuro dei miliziani.
Denunciando la mancanza di sicurezza, l’LRA aveva anche lamentato che sconosciuti uomini armati avevano in passato fatto irruzione nel loro hotel a Juba e che i soldati dell’Esercito di liberazione del popolo sudanese, che avrebbero dovuto proteggerli, bevevano sempre tirandosi le armi l’un l’altro di tanto in tanto. Per questo il governo del Sudan meridionale, il governo ugandese, l’Onu, la comunità dei donatori e i ribelli si sono accordati sul fatto che saranno ora le guardie del vicepresidente del Sudan meridionale a scortare i membri della delegazione dell’LRA. I problemi di sicurezza saranno inoltre d’ora in poi riferiti a un gruppo di dieci soldati provenienti da paesi amici che assistono al processo di pace. Il compito di proteggere il segretariato per la pace sarà affidato a una compagnia di sicurezza privata nominata dall’Onu, e non più al governo del Sudan meridionale.
Durante l’incontro del 13 è stata anche affrontata la questione delle indennità per i membri della delegazione dell’Lra, che avevano chiesto un aumento da 70 a 300 dollari. Sono riusciti solo ad ottenere un aumento del 50 per cento per provvedere alle ordinazioni del vitto. D’altro canto è stato loro chiesto di ridurre il numero di delegati che partecipano ai negoziati. Ci si è inoltre accordati sul fatto che l’Africa Peace Point (App), una organizzazione pacifista panafricana sia coinvolta nelle trattative, assumendo un ruolo attivo nel facilitare il processo di pace, fornendo assistenza umanitaria direttamente all’LRA. Secondo Ayoo, si tratta di uno sviluppo significativo, dato che è la prima volta che a una organizzazione pacifista viene consentito di trattare direttamente con l’Lra.
Un altro mediatore riconosciuto è l’ong internazionale Pax Christi. Agli incontri parteciperanno inoltre i governi di cinque stati africani, Kenya, Sud Africa, Tanzania, Repubblica democratica del Congo e Mozambico, che si faranno garanti di ogni accordo che dovesse emergere dalle trattative. “Abbiamo dunque accettato di tornare al tavolo delle trattative. Tutto quello che vogliamo è un impegno scritto da parte di tutti”, ha spiegato Ayoo.
Ma anche se oggi si riapre il tavolo negoziale a Juba, rimangono diffidenze e sospetti. Soprattutto riguardo alla questione del mandato di arresto che la Corte penale internazionale (ICC) ha emesso contro i vertici dell’LRA. “Il mandato dell’ICC è il principale ostacolo al processo di pace – ha ribadito Ayoo – Abbiamo chiesto ripetutamente al governo, al consiglio di sicurezza Onu e alla comunità internazionale di ritirarlo. Tuttavia il governo insiste nel dire che il mandato potrà essere ritirati solo dopo la firma dell’accordo di pace”. Secondo Ayoo, i vertici dell’LRA sono pronti a uscire allo scoperto e a siglare un accordo di pace solo se il mandato di arresto sarà ritirato.
L’LRA dice di essere venuto in possesso di una copia delle tesi del procuratore capo dell’ICC Moreno Ocampo, alla camera di giudizio del 6 ottobre 2006, in cui si dice che Kiir avrebbe “enfatizzato pubblicamente l’interesse del governo nel cercare mezzi pacifici per mettere fuori servizio l’LRA prima dell’attuazione dell’ordine dell’ICC”. Citando il caso dell’ex presidente liberiano Charles Taylor, Ayoo ha sottolineato che potrebbe trattarsi di una trappola per trarre in inganno i suoi capi, e condurli alla ICC. (di Zachary Ochieng, traduzione di Mariangela Paone)
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10/10/2006 - Uganda, l'incubo di Karamoja
Nella regione nord-orientale del paese, la fuga dei soldati del vecchio regime ha lasciato ampia disponibilità di armi abbandonate. E gli uomini le usano per rubare gli animali che serviranno come dote per il matrimonio
NAIROBI - La caduta del crudele dittatore Idi Amin ha dato inizio a una nuova era per l'Uganda. Sfortunatamente per la regione nord-orientale del Karamoja ha segnato l'avvio dell'era delle armi. I soldati in fuga hanno abbandonato il loro arsenale di armi automatiche e i locali pastori Karamojong hanno rapidamente imparato che i Kalashnikov sono più efficaci delle lance. I saccheggi di bestiame non sarebbero stati più gli stessi da quel momento.
Il risultato è stato morte, fame e insicurezza paralizzante, sia per il Karamoja, la regione più povera del paese, sia per le zone circostanti, preda dei saccheggiatori. Il governo ha promesso di disarmare i guerrieri ma i critici sostengono che la tattica della mano pesante e i diffusi abusi dei diritti umani hanno alienato il consenso delle comunità e hanno fallito nel tentativo di affrontare le cause dell'insicurezza. I militari insistono col sostenere che dove il disarmo volontario non funziona occorre usare la forza.
All'ombra di un albero di mango nei pressi del confine con il Kenya, gli anziani della tribù Pokot concordano sul fatto che le razzie devono essere relegate al passato. Uno a uno, gli ex guerrieri prendono parola nel corso di un workshop sul disarmo promosso dall'International Relief Committee (IRC). Ciascuno spiega come la cultura delle razzie abbia fatto regredire la regione.
"Il mondo ha perso il proprio asse qui in Karamoja e lo ha fatto a causa delle armi" dichiara un uomo di mezza età avvolto nella shuka (una sorta di mantello, ndt) a scacchi rossi, vestimento tradizionale sia dei Karamojong che delle tribù minoritarie dei Pokot.
"Quando partecipi a un saccheggio sai che tu o uno dei tuoi amici potreste morire - dichiara Lomoto Lochuman, un uomo di 37 anni - solo dopo per un momento ti rendi conto che causa solo dolore e non profitto".
"La mia generazione vuole la pace - dice un altro veterano che ha messo da parte il suo AK-47 (nome tecnico del Kalashnikov, ndt) - ma non dipende da noi, dipende da quei ragazzi seduti lì sotto l'albero". E questi ragazzi non dicono molto, non sotto l'ombra dell'albero in ogni caso. Devono ancora sposarsi e stabilire la loro posizione all'interno della società e l'unico modo che hanno per farlo è possedere bestiame. La dote per la sposa è stata tradizionalmente la spinta al saccheggio in una società dove una moglie può costare 100 vacche. Un Karamojong che fallisce nel produrre la dote promessa può perder la propria moglie e i propri figli a beneficio di un altro uomo. Le donne tradizionalmente cantano canzoni che inneggiano ai saccheggi e deridono il marito che non ha saputo accaparrarsi il bestiame definendolo un mezz'uomo. I giovani guerrieri desiderano ottenere i segni del bottino tribale e il rispetto conquistato grazie a temerari saccheggi, come hanno fatto i loro padri.
"Si saccheggia per ottenere prestigio - dice Akol Risa Anna, vice-direttore del distretto educativo di Nakapiripirit - se lo fai per il matrimonio o il commercio sei considerato un forte guerriero".
E l'aumento dei furti è per il mercato. Nel passato i saccheggi sarebbero stati sanzionati dai più anziani e avrebbero colpito un altro clan o un'altra tribù. Ora la composizione delle bande è spesso trasversale e non c'è riguardo per i codici di condotta tradizionali, come il rispetto delle donne, dei bambini e degli anziani. I saccheggiatori moderni lottano, uccidono e vendono il loro bottino al mercato, in posti lontani come Jinja e Kampala.
Nelle aree vicine la vita quotidiana è stata pesantemente colpita e i Karamojong sono diventati sinonimo di violenza terrificante. Oltre 90mila persone nella regione di Teso, per esempio, sono state costrette a cercare protezione dai saccheggiatori in campi squallidi e insalubri.
Il portavoce dell'esercito, il maggiore Felix Kulayigye, ha dichiarato: "Lo stato non può stare a guardare mentre i saccheggi continuano. Dobbiamo fare qualcosa. La cosa dipende dalla mancanza di cooperazione da parte degli stessi guerrieri. Nel 2002, il presidente è venuto in Karamoja ha chiesto la resa delle armi e l'avvio dello sviluppo. Nel 2004 è ritornato per lanciare un programma di disarmo volontario. Ma due anni dopo sono state consegnate solo 600 armi e i saccheggi continuano. Il disarmo volontario non ha funzionato".
La soluzione dell'esercito prevede operazioni di "ricerca e isolamento". I soldati circondano un accampamento fino a che le armi non vengono consegnate. Ma può essere una soluzione molto amara. Negli ultimi mesi un ragazzo di 19 anni, a Moroto, è stato colpito ai testicoli; una quindicenne, a Kotido, è stata uccisa insieme ad altre tre persone; a Nakapiripirit, secondo quanto riferiscono i media ugandesi, un'anziana signora è stata uccisa e quattro donne probabilmente rapite.
Il maggiore Kulayigye insiste nel dire che dove ci sono prove di illeciti da parte dei soldati, questi devono essere perseguiti. Ma secondo i critici il problema non sono pochi giovani soldati teste calde ma la strategia dell'esercito in generale. Le Nazioni Unite hanno lanciato appello per il ritorno ai metodi più cauti fissati nel programma di sviluppo e disarmo siglato nel 2005. Ma l'esercito ha trovato un alleato inatteso, la Commissione ugandese per i diritti umani. Nathan Byamukama, membro della Commissione, sostiene che è arrivato il momento di riconoscere la situazione particolare che c'è in Karamoja. "La più grande violazione dei diritti umani nella regione è il saccheggio", ha dichiarato.
"Se vogliamo essere legalisti - ha aggiunto parlando degli arresti arbitrari - c'è qualcosa che non va. Gli arrestati dovrebbero essere condotti dinanzi alla corte in 48 ore ma non ci sono tribunali in Karamoja. E anche quando ci fosse un tribunale, i Karamojong costringerebbero il magistrato a fuggire a pegno della vita. Se non c'è rispetto per la legge, allora il governo deve cercare altre soluzioni".
Può il disarmo da solo portare la pace quando il conveniente mercato delle armi del Sudan è facilmente accessibile? Coloro che giudicano troppo semplicistico l'approccio del governo, sostengono che sarebbe meglio affrontare le cause che stanno alla base dei saccheggi anziché concentrarsi sul sequestro delle armi. "Stanno soltanto lottando con le armi", dichiara il membro di un'agenzia specializzata nelle violazioni dei diritti umani, che ha chiesto di restare anonimo. "Pensano di poter ottenere ogni cosa militarmente - dice - ma dovrebbero mettersi nei panni dei Karamojong e chiedere loro perché hanno bisogno delle armi".
Intanto i vecchi della tribù Pokot continuano a ripetere di aver paura di essere senza protezione la prossima volta che arriveranno i predoni. (Traduzione di Mariangela Paone)
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05/09/2006 - Regge la tregua nel nord Uganda
Chi disarmerà i combattenti? E chi farà giustizia? Una delle principali sfide sarà ricucire le ferite fisiche e psicologiche dei minori. Più di 30mila i bambini rapiti durante il conflitto: i ragazzi sono usati come pony, le ragazze stuprate
NAIROBI - E' finita la guerra in Uganda. Nel nord del Paese regge il cessate il fuoco raggiunto il 29 agosto, dopo 20 anni di massacri compiuti dal'Esercito di resistenza del Signore (Lra). Tuttavia, la tregua firmata da governo e ribelli omette la questione cruciale del disarmo dei combattenti dell'Lra, che si stanno pacificamente spostando verso il sud Sudan. Il governo ugandese, affiancato dai funzionari dell'Unione africana, sta supervisionando la tregua. Vincent Otti, il secondo uomo dell'Lra, ha chiesto alle sue milizie, attraverso un messaggio radiofonico trasmesso da una stazione locale nel nord del Paese, di raggrupparsi oltre il confine sudanese. Il cessate il fuoco consentirà ai combattenti dell'Lra, oggi sparsi in piccoli gruppi in tutta la regione settentrionale dell'Uganda, di spostarsi in modo pacifico ai due punti di raccolta nel vicino sud Sudan. Se un trattato di pace sarà firmato entro il 12 settembre (la data è stata fissata dal presidente ugandese Yoweri Museveni) la formazione dei ribelli sarà demolita e gli uomini potranno ritornare nelle proprie case.
Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan ha definito il cessate il fuoco "un passo nella giusta direzione". La sua cautela è fondata. I precedenti colloqui di pace sono infatti stati vani e i cessate il fuoco violati da entrambe le parti in conflitto. L'Esercito di liberazione del Signore ha usato i precedenti colloqui come un'opportunità per riunirsi, l'esercito governativo ne ha invece approfittato per bombardare aree precedentemente dichiarate sicure. Ma stavolta c'è un elemento di discontinuità. I colloqui saranno infatti mediati da una terza parte, il governo del sud Sudan, nella persona del suo vice presidente Riek Machar.
L'annuncio del cessate il fuoco lascia sul tavolo grandi questioni. Secondo le ong una delle principali sfide del dopoguerra sarà ricucire le ferite fisiche e psicologiche di bambini e bambine rapiti, stuprati, picchiati, e obbligati a commettere atrocità in una guerra di cui difficilmente potevano capire il motivo. "Alcuni dei bambini usciti dalla foresta affrontano la stigmatizzazione; sono accusati di essere la causa dei problemi della guerra", dice Sam Kilara, coordinatore di World Vision a Gulu. "Le madri dei bambini sono state rifiutate dai loro genitori, sono viste come la vergogna delle loro famiglie", aggiunge Kilara, che per il supporto dei bambini colpiti dalla guerra dice: "servono più risorse.
"Le sfide del dopo guerra saranno più difficili della stessa guerra", ha detto il ministro Francis Musa Ecweru. Sperando che il conflitto possa presto giungere ad una fine, il Governo ha preparato un piano di emergenza per facilitare il ritorno degli sfollati nei loro villaggi dove poter riprendere a vivere come contadini, ha detto il ministro. Il piano prevede da un lato lo spostamento delle persone dai grandi campi profughi in accampamenti più piccoli, vicino ai villaggi, prima che possano tornare alle proprie case, e dall'altro di aiutare quelli sono già tornati alla propria dimora. A luglio, l'ufficio dell'Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha) ha espresso preoccupazione sullo stato dei campi di transito nella regione di Acholi, privi di acqua e servizi igienici. "La maggior parte degli accampamenti non hanno coperto le latrine per mancanza dei mezzi, sebbene specifiche aree siano state designate per la loro locazione", recita il rapporto Ocha sui movimenti delle popolazioni nelle regioni di Acholi, Lango Teso. Per rendere disponibile agli sfollati l'acqua potabile, il governo, con l'assistenza dei donatori, ha progettato di riaprire i pozzi trivellati e scavarne di nuovi. Il governo tedesco ha già donato 3,5milioni di dollari per il piano, secondo Ecweru.
Il leader dell'Lra, Joseph Kony è stato l'uomo più ricercato in Africa, da quando lo scorso Ottobre insieme a 4 dei suoi comandanti venne condannato dalla Corte penale internazionale. Contro di lui pendono 33 capi di accusa, tra cui riduzione in schiavitù sessuale, strupro, e arruolamento di bambini soldato. Nelle scorse settimane, Kony ha rilasciato diverse interviste negando quelle atrocità, ma le truppe dell'esercito di liberazione del Signore sono piene di banditi adolescenti e Kony ha lungamente utilizzato i rapimenti come metodo di reclutamento . Si stima che più di 30mila bambini siano stati rapiti durante il conflitto. I ragazzi sono usati come pony, le ragazze stuprate. I bambini che temevano di essere rapiti dai ribelli sono fuggiti per anni nell'Uganda settentrionale, da un villaggio all'altro, in cerca di protezione. Questi "abbonati della notte" sono diventati un simbolo unico quanto odioso della guerra. Malgrado abbia chiesto alla Corte penale internazionale di investigare sull'Lra nel 2004, il presidente Museveni ha voltato le spalle all'organismo internazionale offrendo a Kony a agli altri indagati un'amnistia come contropartita della fine delle ostilità. E questo nonostante l'obbligo legale per Museveni di consegnare alla giustizia gli uomini ricercati. Molti ugandesi, specialmente nel nord del Paese, sostengono che un processo davanti ad una corte europea non sia l'unica forma di giustizia legittimata, e che anche le cerimonie tradizionali potrebbero essere usate. Riferendosi al rituale del "mato oput", una cerimonia in cui le parti opposte sono riunite, il direttore della delegazione governativa per la pace, il ministro dell'interno Ruhakana Rugunda, ha detto: "Con un accordo di pace lavoreremo per convincere la Corte penale internazionale e la Comunità internazionale. Mi preoccupa l'impunità ma nel nostro Paese abbiamo un sistema alternativo e libero di giustizia che ha funzionato per secoli attraverso la risoluzione del conflitto e la riconciliazione".
Dopo anni di scontri armati per schiacciare l'insurrezione militare, probabilmente dietro all'improvvisa compiacenza di Museveni non si nasconde necessariamente un sentimento di benevolenza. Durante il conflitto, gli attivisti per i diritti dell'uomo hanno ripetutamente accusato l'esercito Ugandese di abusi e sporchi affari. L'idea che gli avvocati di Kony rivelino in un'aula di tribunale sconcertanti verità sulle operazioni dei militari non piace al Governo.
Ma per i cittaidni del nord del Paese, esausti dopo anni di guerra, la priorità per riprendere possesso delle proprie vite è la pace. Per aiutarli, il primo ministro ugandese, Apolo Nsibambi, ha destinato un fondo di 340milioni di dollari alla ricostruzione delle Regioni dove 1,7 milioni di persone sono sfollate dalle loro case in accampamenti malsani. Un netto cambiamento, se si considera che per la prima volta il governo investe nella ricostruzione del nord, anzichè finanziare la guerra che quelle Regioni ha insanguinato. (Traduzione di Gabriele Del Grande)
Accordo bilaterale per la cessazione delle ostilità tra il Governo Ugandese e la Lord Resistance Army.
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01/09/2006 - Le comunicazioni sociali e l'Aids
Secondo uno studio del Cadre, sono soprattutto i rapporti personali e i network sociali a poter modificare la condotta della popolazione. Il 19,7% dei giovani che conoscono un malato di Aids ha infatti iniziato ad usare il condom
NAIROBI - Uno studio recente rivela che il tasso di diffusione dell'Hiv/Aids in Uganda è diminuito significativamente tra la fine del 1980 e la metà del 1990, grazie alla modifica dei comportamenti favorita dalle comunicazioni sociali. Secondo la ricerca "Le comunicazioni sociali e l'Aids. La modifica dei comportamenti in Uganda raffrontata con altre regioni" di Daniel Low Beer e Rand L.Stoneburner (del compartimento per la Valutazione della Salute delle popolazioni dell'Università di Cambridge), la stessa tendenza non si riscontrava nelle regioni confinanti con l'Uganda, affette da un elevato tasso di Hiv.
Pubblicato dal CADRE (Center for Aids Development, Research and Education), questo studio osserva l'impatto delle comunicazioni sociali sulle modifiche comportamentali e la diminuzione del tasso di Hiv in Uganda. Gli autori ipotizzano che l´informazione sull'Hiv abbia avuto un impatto positivo sulle abitudini della popolazione. Sono stati messi a confronto i dati relativi all'Uganda con quelli delle regioni confinanti (Kenya, Malati, Sud Africa, Tanzania, Zambia e Zimbawe) per capire le ragioni dell'influenza dei comportamenti sul contagio.
Le due principali fonti di dati, che mettono a confronto la consistenza demografica ed il tasso di incidenza dell'HIV e si riferiscono a uomini e donne in Uganda ed in altre sei regioni sub-sahariane, sono state raccolte rispettivamente da osservatori del DHS (Demographic and Health) e del KAPB (Knowledge, Attitudes and Behaviour). Gli autori hanno riscontrato un'alta compatibilità tra i soggetti esaminati, sebbene la ricerca fosse stata condotta in tempi e luoghi diversi attraverso le varie regioni e l'esame dei questionari tenesse conto delle diverse realtà nazionali. Per di più, lo studio evidenziava i dati registrati in Uganda dagli osservatori del KAPB e li integrava con quelli raccolti nelle sei regioni dagli osservatori di DHS e KAPB.
Ciascuna delle sei regioni attua programmi di sensibilizzazione e di informazione sulla sanità pubblica e sull'Aids. Gli osservatori hanno raccolto dati su: grado di conoscenza dell'AIDS, canali d´informazione per imparare a conoscere la sindrome, personale valutazione del rischio, abitudini sessuali pregresse e modifica dei comportamenti a seconda di età, sesso e luogo. I canali di comunicazione per acquisire conoscenze sull'AIDS sono stati suddivisi in tre gruppi: mass- media (radio, TV, giornali, opuscoli), istituzioni (religiose, scolastiche, sanitarie), personali (amici/parenti, comunità, luoghi di lavoro). Stando alle conclusioni, l'Uganda si distingue sugli altri campioni esaminati per quanto riguarda la comunicazione in materia di Aids.
In Uganda infatti l'82% delle donne ha sentito parlare di Aids da network privati, rispetto al 40-65% delle altre regioni. Un altro elemento di comunicazione, la conoscenza personale di qualcuno malato di Aids o morto per il contagio, rappresenta un campione significativo in Uganda. Qui il 91,5% degli uomini e l'86,4% delle donne conosce qualcuno malato o morto di Aids, rispetto al 68-71% dello Zambia, Kenya e Malawi, e meno del 50% di Tanzania, Zimbawe e Sud Africa, nonostante il più alto tasso di infezione di queste ultime regioni (eccetto la Tanzania).
Gli autori sostengono dunque che in Uganda la comunicazione orizzontale attraverso i network sociali sull'infezione da Hiv e le morti per Aids abbia avuto effetti preventivi e deterrenti nella trasmissione dell'infezione, e dissuasivi verso contatti sessuali pericolosi: il 19,7% dei giovani d'età compresa tra i 15 ed il 24 anni che conoscono qualcuno malato di Aids ha infatti iniziato ad usare il condom, contro il 4,9% di coloro che non conoscono nessun malato. Una simile differenza circa le precauzioni verso l'Aids è presente anche tra uomini più anziani.
Secondo lo studio, la comunicazione sociale sui problemi dell'Aids deve superare però le barriere dell'età e del sesso. Conoscere qualcuno con l'Aids è molto meno frequente tra adolescenti di 15-19 anni piuttosto che tra gli adulti di 20-54 anni, in tutte le altre regioni tranne che in Uganda. Il divario tra i due gruppi d'età era di soli 2 punti percentuali in Uganda, mentre nelle altre 5 regioni (non è disponibile il dato del Sud Africa) la differenza si aggira sui 17-27 punti percentuali.
In Uganda le barriere del sesso sono ancora molto importanti nella comunicazione sull'Aids tra le coppie. Gli uomini percepiscono di essere esposti ad un basso rischio di infezione almeno quattro volte di più delle donne, che sentono invece il rischio molto più elevato.
Gli autori ritengono dunque che non siano gli individui o le associazioni, ma le comunicazioni sociali che potrebbero svolgere a livello comunitario un ruolo significativo nell'influenzare le norme comportamentali: un soddisfacente livello di comunicazioni sociali orizzontali, come quello riscontrato in Uganda, permetterebbe infatti alla maggior parte delle persone di conoscere in tempo qualcuno contagiato dall'Aids, invece di essere informata sul tasso di infezione da Hiv. Al contrario, se la comunicazione sociale è limitata, i soggetti affetti da AIDS potrebbero non venire a conoscenza dell'altissima diffusione e mortalità per Hiv. In quest'ultimo caso, l'incidenza delle comunicazioni sociali sui comportamenti sarebbe molto meno significativa riguardo alla riduzione dell'infezione da Hiv, in quanto la consapevolezza dei rischi (determinata dalla conoscenza personale di soggetti con l'Aids) arriverebbe solo dopo aver conosciuto gli apici del contagio.
Sebbene non influente, gli autori fanno notare la possibile interazione tra la comunicazione verticale (interventi formali attraverso i mass media e le comunicazioni istituzionali) e la comunicazione orizzontale (personale e tramite network sociali) nella prevenzione dell'Aids. Confrontando il tempismo delle campagne sanitarie pubbliche ed i controlli volontari per l'Hiv in Uganda, gli autori ritengono che le comunicazioni verticali (commercio sociale di condoms ed incremento dell'informativa sulla salute pubblica) da sole non potrebbero aver influenzato il cambiamento comportamentale riscontrato; una spiegazione più plausibile sembra essere che le comunicazioni verticali ed orizzontali, operando congiuntamente, hanno reso la popolazione dell'Uganda più ricettiva nei confronti delle campagne sanitarie pubbliche.
Il libro di Edward Green "Ripensando la prevenzione dall'Aids" invoca un paradigma che sposti l'attenzione per il condom verso un atteggiamento definito PBC (Primari Behaviour Ch'ange), che includa fedeltà, riduzione dei partners e rinvio dell'esordio dei rapporti sessuali. Green mostra l'evidenza di quella che considera l'inadeguatezza della campagna a favore del condom in Africa paragonata ai successi di PBC nei paesi sviluppati di tutto il mondo. L'obiettivo di questo libro è osservare la trasmissione eterosessuale dell'Hiv nei paesi sotto sviluppati e la trasmissione sessuale solo dell'Aids. Green cita diversi casi (nello Zambia, in Senegal, in Thailandia ed in Jamaica) ma si concentra essenzialmente sui successi riportati in Uganda dai programmi PBC, cui è stata assegnata la campagna governativa "zero grazing" nel 1980. Egli sostiene che per la maggior parte degli africani, il PBC sia un modo più efficace di prevenzione della malattia rispetto all'uso del condom. Asserisce inoltre che diversi studi hanno dimostratola validità del rinvio dell'esordio sessuale degli adolescenti, che diminuirebbe enormemente il numero dei partners. Quindi, sostiene Green, una vasta gamma di programmi focalizzati sul PCB ma che includano anche l'utilizzo del condom se necessario, sono disperatamente necessari.
Se la situazione evidenziata da Green è obiettiva, allora perché tanti aiuti internazionali non confluiscono in questo genere di programmi? La sua risposta è che i donatori sono poco informati, ignorano questi programmi o non vogliono crederci. Molti dei problemi che Green cita includono osservatori prevenuti, che si focalizzano sull'uso del condom a costo di trascurare altri metodi di prevenzione dall'Aids, la semplicità di monitorare l'uso del condom rispetto alla difficoltà di controllare il PBC e la scelta di programmi che si basano sull'ideologia occidentale della rivoluzione pos-sessuale. Dal punto di vista di Green, per evitare attriti con associazioni per i diritti religiosi, i donatori dimenticano che le variabili socio-culturali sono fondamentali quanto quelle mediche. E' convinto poi che l'unica strada per invertire questa tendenza ventennale sia il superamento della prevenzione verso la riduzione dei partners e verso l'astinenza, dando ascolto agli africani poiché loro, come molti americani, stanno scegliendo l'astinenza ed hanno fiducia nei condoms. (Zachary Ochieng - Traduzione di Chiara Ludovisi)
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31/08/2006 - Si riducono i ''night commuters''
Condizioni di maggiore sicurezza hanno fatto calare il numero dei ''pendolari della notte'' da 25.000 a 4.000. Ma sebbene non ci sia attualmente il rischio di rapimenti da parte dei ribelli, tanti bambini ancora trascorrono la notte nei rifugi
NAIROBI - Si è ridotto il numero di bambini che in Nord Uganda cercano ogni notte rifugio nelle città dai loro villaggi rurali per timore di essere rapiti dai ribelli, ma miglioria di ragazzi sono ancora in pericolo, secondo quanto riferiscono gli operatori sociali. Nel distretto di Gulu, dove i rapimenti di bambini da parte del Lord's Resistance Army (LRA) rappresentavano un dramma frequente, il numero dei "night commuters" (viaggiatori della notte) è sceso da 25.000 del febbraio 2004 a 4.000 di oggi, secondo i dati dell'Unicef. "I bambini che si spostano durante la notte si considerano essi stessi i più vulnerabili di Gulu", spiega Michael Copland, dell'ufficio Unicef locale. "Chiaramente non è per il timore dei rapimenti, che al momento non ci sono. E' per altri problemi, di ordine familiare o di altro tipo".
Secondo l'Unicef le conseguenze a lungo termine di 21 anni di scontri tra il governo ugandese e la LRA comprendono la distruzione della cura e della protezione verso i bambini da parte della famiglia e della comunità. Per questo migliaia di bambini hanno bisogno di sostegno, nonostante il miglioramento delle condizioni di sicurezza nella regione. La guerra ha anche portato alle famiglie povertà e incapacità di provvedere ai figli. "Nelle proprie case molti bambini sono esposti a violenze e abusi", aggiunge Copland. "Così i bambini si trasferiscono perché credono che nei rifugi ci sia una migliore qualità di vita".
Molti dei ragazzi che ancora preferiscono trascorrere la notti nei rifugi hanno genitori uniti in seconde nozze o provengono da famiglie molto numerose. "La soluzione - afferma ancora Copland - non consiste nel chiudere i rifugi in cui i bambini cercano protezione, ma nel conoscere loro e le loro famiglie, per identificare quelli che hanno bisogno di sostegno. Questo supporto potrebbe provenire da altri membri della famiglia, oppure da genitori adottivi. Il monitoraggio dei bambini e delle loro famiglie è iniziato, ma si tratta di un lungo cammino, rallentato dalla scarsità di personale preparato".
Rasmus Bjerngaard, responsabile del centro di accoglienza per bambini gestito nell'ospedale di Lacor, a Gulu, da Medici senza Frontiere, ritiene che la maggior parte dei bambini che decidono di trascorrere qui la notte non sarebbero mai capaci di integrarsi in una famiglia e necessitano quindi di sostegno a lungo termine. "Il cosiddetto pendolarismo notturno è sintomo di una situazione più complessa, in cui le strutture sociali, culturali e familiari sono distrutte, anche se le condizioni di sicurezza sembrano migliorare, non ci sono ancora strutture normali in grado di supportare questi bambini", afferma. (Traduzione di Chiara Ludovisi)
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